la libertà non ha appartenenza, è conoscenza, è rispetto per gli altri e per sé

"Chi riceve di più, riceve per conto di altri; non è né più grande, né migliore di un altro: ha solo maggiori responsabilità. Deve servire di più. Vivere per servire"
(Hélder Câmara - Arcivescovo della Chiesa cattolica)

domenica 20 settembre 2009

Democrazia feudale



Dom. 20.09.2009 - Da "Micromega on line" (15.09.2009), di Loretta Napoleoni, da Internazionale.it.

<< Questa settimana ricorrono due anniversari importanti: il crollo delle torri gemelle e quello della Lehman Brothers. Fiumi d’inchiostro sono stati spesi per interpretarli, ma forse è ora di smettere di guardare al passato per capire quali sono state le cause. Proviamo invece ad analizzare il presente e il futuro. Chi ha guadagnato da queste tragedie? La risposta è sconcertante: uno stato democratico ha perseguito gli interessi di un’oligarchia di privilegiati, i feudatari della globalizzazione, che detengono il potere economico-finanziario e controllano l’informazione. xxx

In difesa della democrazia feudale statunitense George W. Bush, dopo aver dichiarato la guerra al terrorismo, ha inaugurato la politica della paura. La minaccia di Osama bin Laden è stata ingigantita per giustificare una serie d’interventi armati che non servivano a sradicare la malerba del terrorismo, ma a rilanciare l’egemonia statunitense. A dirigere queste grandi manovre era il vicepresidente Dick Cheney, che lavorava per conto delle lobby petrolifere e militari, e i falchi della destra repubblicana, il nocciolo duro della moderna democrazia feudale. Sono loro i pochi eletti che pagano le costosissime campagne elettorali e che decidono chi entra ed esce dalla Casa Bianca.

Gli esperti, quelli veri, si sono accorti subito che la guerra al terrorismo non aveva nulla a che vedere con gli attentati. La questione delle fonti di finanziamento dei gruppi armati islamici è finita presto nel dimenticatoio. I 150 milioni di dollari congelati dall’11 settembre a oggi sono una cifra irrisoria, e sono soprattutto una frazione infinitesimale di quanto è stato speso per riuscire a racimolarli. Ma l’obiettivo era un altro: fare gli interessi delle lobby vicine all’amministrazione e rilanciare l’America come unica superpotenza.

È bastato poco a raggiungerlo: il prezzo del petrolio è salito alle stelle fino a quota 150 dollari al barile, quasi dieci volte i 18 dollari che costava alla vigilia dell’11 settembre. E le multinazionali del petrolio nordamericane, che l’oro nero non solo lo producono ma lo raffinano e lo commerciano per conto dei produttori arabi, hanno registrato enormi profitti. Anche l’industria della guerra, privatizzata dai predecessori di Bush, va a gonfie vele. Dai contractor – i nuovi mercenari – ai fornitori di armi, uniformi e razioni per le truppe, chiunque avesse un piede nell’arte della guerra ha trovato in Iraq e Afghanistan una vera cuccagna.

I neoconservatori hanno imposto la loro visione del mondo a tutti, anche contro la volontà delle Nazioni Unite. L’Iraq è stato invaso con una coalizione di amici di Bush, non con il consenso dell’Onu.

A tenere alta la paura del terrorismo islamico in casa ci ha pensato la fiorente industria della paura, formata da uno stuolo di professori, diplomatici, intellettuali, giornalisti, ex poliziotti, militari e mercenari diventati improvvisamente tutti “esperti di terrorismo”. Ecco i servi dei feudatari democratici, volti ormai noti che vediamo scorrere sui nostri televisori notte e giorno. Nessuno mette in dubbio le loro parole.

E veniamo al crollo della Lehman Brothers, che appena un anno fa faceva presagire una valanga di fallimenti nelle alte sfere della finanza mondiale. Non è successo niente di tutto questo. Gran parte delle grandi banche americane, con in testa Goldman Sachs, e di quelle internazionali hanno ottenuto profitti da capogiro nel secondo trimestre del 2009. E i bonus per i dirigenti sono stati da record. Naturalmente questo “miracolo” è frutto dei nostri risparmi distribuiti dalle banche centrali.

Una in particolare, la Federal reserve è stata molto generosa: nel settembre 2008 si è battuta contro il congresso americano finché non ha ottenuto un piano di salvataggio per le banche da 700 miliardi di dollari. E guarda caso tra i vincitori della crisi del credito c’è proprio la Federal reserve, un’organizzazione privata e a scopo di lucro, che ha incassato 14 miliardi di dollari di interessi negli ultimi due anni sui soldi dati in prestito agli istituti di credito in difficoltà. E tutti questi bigliettoni verdi non sono finiti nelle casse del tesoro, ma sono e saranno distribuiti come dividendi tra i suoi soci.

Anche i feudi dell’alta finanza hanno il loro peso nell’elezione dei presidenti americani. E Barack Obama lo sa bene. Infatti ha proposto di aumentare i poteri della Fed, ha confermato alla sua guida Ben Bernanke e ha richiamato alla guida dell’economia i falchi della deregulation clintoniana.

Questa lettura dei due crolli ci spinge a pensare che le loro cause siano molto più serie e radicate della follia religiosa di un branco di esaltati arabi o dell’incontrollabile avidità di giovani banchieri rampanti. Né la voglia di tornare a vivere come faceva Maometto né il desiderio di comprarsi una Ferrari bastano a produrre crisi politiche ed economiche come queste. A monte, ahimè, c’è il logoramento delle democrazie moderne e lo spostamento progressivo verso forme di governo premoderne.

(15 settembre 2009). >> xxx

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