Gio. 15.08.2013 - Dal sito de "il Fatto Quotidiano", uno scritto di Marco Emilio De Rossi (07.08.2013), i cui contenuti condivido integralmente; e mi stupisco di aver sentito solo da lui evocato, per ora (e forse per mia distrazione), un concetto basilare come quello della rigidità della nostra Carta costituzionale, associato al colpo di mano che, lor signori, stanno tentando sull'art. 138 della stessa Carta.
“Nel lontano 1803 la Corte Suprema americana, presieduta dal giudice John Marshall, nella celeberrima sentenza della causa “Marbury vs Madison” stabilì che “O la Costituzione è una legge superiore prevalente, non modificabile con gli strumenti ordinari, oppure è posta sullo stesso livello della legislazione ordinaria e, come le altre leggi, è alterabile quando il legislatore ha piacere di alterarle [...]“, con la logica conseguenza che, nel secondo caso, le Costituzioni scritte sarebbero state solo ”[...] un tentativo assurdo, da parte del popolo, di limitare un potere per sua stessa natura illimitabile”. Tale dottrina consacrava il principio della cd. “rigidità” delle Costituzioni, e proprio ad essa si ispirò l’Assemblea che nel 1946-48 elaborò la nostra Carta fondamentale.
I padri e le madri costituenti, infatti, reduci della tragica esperienza fascista, ben conoscevano i rischi corsi da una Costituzione “flessibile“, come lo Statuto Albertino: era stato proprio per l’insufficiente protezione dello Statuto del 1848 che Mussolini aveva potuto facilmente e rapidamente sopprimere le libertà fondamentali dei cittadini, imprigionando l’Italia in una brutale dittatura. Per evitare che ciò accadesse nuovamente, la Costituente stabilì un processo di revisione costituzionale rafforzato, che garantisse ai posteri delle modifiche costituzionali adeguatamente ponderate e discusse dai loro rappresentanti: così nacque l’articolo 138 (che prevede un iter, comunque, molto più agile rispetto a quello previsto in altri paesi europei).
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