la libertà non ha appartenenza, è conoscenza, è rispetto per gli altri e per sé

"Chi riceve di più, riceve per conto di altri; non è né più grande, né migliore di un altro: ha solo maggiori responsabilità. Deve servire di più. Vivere per servire"
(Hélder Câmara - Arcivescovo della Chiesa cattolica)

sabato 28 marzo 2009

?Delegittimare chi disturba il manovratore?



Sab. 28.03.2009 - Da "La Repubblica - Parma.it" (27.03.2009)

" Camorra a Parma, il prefetto: "Da Saviano solo sparate"
Il rappresentante del governo attacca lo scrittore che in diretta televisiva parla degli affari dei Casalesi a Parma. La città al centro delle inchieste del magistrato Raffaele Cantone, dove si è registrata la prima condanna in primo grado per associazione di stampo camorristico nel nord Italia. Nei giorni in cui si costituisce l'associazione Libera e il Pd presenta due interrogazioni sulle infiltrazioni mafiose fatte al ministero dell'Interno
di Maria Chiara Perri xxx

Titoli shock scorrono sul teleschermo. Roberto Saviano con enfasi pacata ne sottolinea la volontà, ancor prima di mistificare, di riflettere e consolidare la mentalità criminale che divora una terra. Incolla al teleschermo, mercoledì sera, 4 milioni e mezzo di telespettatori. Parla anche di Parma, per tre volte, per esemplificare come i tentacoli della camorra abbraccino anche le realtà apparentemente più periferiche del nord Italia.

Due giorni dopo un quotidiano locale, Informazione di Parma, pubblica un'intervista al prefetto Paolo Scarpis. Titolo? "Camorra a Parma? Solo 'sparate'". Un'affermazione che il rappresentante del governo non precisa e non ridimensiona, che consola una città dove nel frattempo sta nascendo l'associazione Libera e le due parlamentari del Pd, Albertina Soliani e Carmen Motta, presentano due interrogazioni sulle infiltrazioni mafiose nel nord Italia fatte al ministro dell'Interno.

Saviano ha citato la città ducale per gli interessi, già raccontati anche da un'inchiesta dell'Espresso, di quel Pasquale Zagaria che insieme al fratello Michele le mise occhi e mani addosso nel campo dell'edilizia. Ha parlato di come la patria di Maria Luigia, oltre a Milano, sia terra in cui le attività dei criminali si intrecciano con quelle di imprenditori e forse anche politici. Persino durante il sequestro del piccolo Tommaso Onofri, la camorra si è occupata di Parma: i boss lanciarono sulle colonne di un quotidiano partenopeo una sorta di accorato appello ai rapitori: liberatelo e faremo in modo che non vi succeda niente, fategli del male e ve la faremo pagare. Tutto questo ha raccontato Saviano nel corso delle tre ore in diretta televisiva, che oggi vengono smontate dal rappresentante del governo.

"Sono 'sparate' di una persona che sta a 800 chilometri di distanza, che ha visto Parma di passaggio - si legge nell'intervista pubblicata dall'Informazione di Parma - Durante una riunione del Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica avevo chiesto al procuratore ella Repubblica un resoconto di eventuali posizioni aperte nel parmense sentendo anche la Dda di Bologna e la Dia di Firenze: la risposta è stata "non ci sono indagini di questo tipo". Il tentativo di allarmismo è quindi del tutto fuori luogo e se qualcuno è così convinto di saperne di più dei professionisti del settore, che si faccia avanti facendo nomi e cognomi".


C'è una cosa che forse Saviano teme più delle minacce che lo costringono a una vita da recluso. Quella di essere delegittimato. Che le accuse di "scrivere favole" che gli rivolgono tanti conterranei possano attecchire e vanificare l'opera di denuncia che tanto gli è costata.

Ai microfoni di Tv Parma, il prefetto Scarpis precisa che in città ci sono realtà di criminalità organizzata, cioè messa in opera da più di due persone, ma non infiltrazioni di stampo mafioso, che presuppongono il controllo del territorio tramite infiltrazioni negli organi che lo governano: non gli risultano indagini di alcun tipo che riguardino mafia, camorra e n'drangheta.

Eppure, l'assalto della camorra sulla città tramite un patto del cemento tra imprenditori del nord e i casalesi, in cui non mancarono contatti con la politica locale, è stato oggetto anche di una recente conferenza di Raffaele Cantone, magistrato che coordinò le indagini su Pasquale Zagaria e scoperchiò gli interessi di Gomorra sulla città ducale. Parlò di affari da otto milioni di euro, delle capacità imprenditoriali di Zagaria, di una delle più grosse società immobiliari di Parma confiscata, e della prima condanna per associazione camorristica del centro-nord. Una condanna in primo grado per una immobiliare locale. E anche di un incontro in un albergo romano con un politico, che poi ammetterà di non sapere chi fosse quell'uomo.

Pochi giorni fa la polizia ha arrestato a Colorno, "Michè lo Svizzero". E' Ciro Dell'Ermo, del clan degli Orefice, residente nel parmense con obbligo di firma. Lo scorso giugno approfittò di un permesso di cinque giorni per tornare ad Acerra e tentare un'estorsione da 100.000 euro ai danni di un imprenditore edile. I sindacati emiliani dell'edilizia hanno chiesto di estendere l'obbligo delle certificazioni antimafia a tutte le attività, perché "è noto l'intresse di mafia, camorra e n'drangheta per gli appalti di opere pubbliche e private. La presenza della criminalità organizzata è documentata soprattutto a Parma, Reggio Emilia e Modena". E sulla 'ndrangheta c'è anche l'ultima relazione della Dia in cui si parla delle infiltrazioni dei clan calabresi nel territorio provinciale.

La società civile si sta organizzando per costituire nella città ducale l'associazione di Don Ciotti. Una prima riunione c'è stata e vede in prima fila il pastore metodista Giuseppe La Pietra, già responsabile di Libera in Abruzzo. Diverse le realtà locali coinvolte, tra cui l'Agesci, l'Arco e il coordinamento Libera Emilia Romagna.

In questo contesto "Camorra a Parma? Solo sparate" non sfigurerebbe nella collezione dei titoli di Saviano mandati in onda l'altra sera.
(27 marzo 2009) " xxx

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mercoledì 25 marzo 2009

P2, P3, P4... Uno alla volta, nottetempo, casa per casa

La forza del mare nella Verità

Mer. 25.03.2009 - Dal sito di Carlo Vulpio (24.03.2009).

" Lo avevamo detto. Anzi lo avevamo predetto.
Questa sospensione dalle funzioni di poliziotto del vicequestore Gioacchino Genchi - per aver risposto su Facebook a un cronista di Panorama che gli dava del bugiardo, e quindi per essersi difeso con la parola da un'accusa infamante - non sorprende, anche se rattrista. xxx

L'ultimo in ordine di tempo era stato Luigi de Magistris. Il giorno dopo l'annuncio della sua candidatura come indipendente nell'IdV, sono arrivate in contemporanea: la notizia dell'apertura di un'inchiesta a suo carico da parte della procura di Roma per concorso in abuso d'ufficio e interruzione di pubblico servizio, la "richiesta" del vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, di dimissioni dalla magistratura (cosa che Mancino non ha mai osato chiedere, né fatto notare a nessun altro, da Violante in poi), la notizia della richiesta di archiviazione, avanzata dalla stessa procura di Roma, della querela che Luigi de Magistris e Clementina Forleo presentarono contro Letizia Vacca, membro laico del Csm in quota Pdci, che definì i due magistrati "due figure negative, due cattivi magistrati", offendendoli e anticipando il giudizio prima ancora che se ne discutesse in Csm.
Oggi, tocca a Gioacchino Genchi. Vogliono fargliela pagare a tutti i costi perché è una persona onesta e ha dimostrato di avere carattere, non lasciandosi intimidire.

Lo avevamo detto. Anzi, predetto, che piano piano, uno alla volta, sarebbero venuti a cercarci, casa per casa, magari nottetempo, per portarci via "in nome della legge", o per farci sentire il loro fetido fiato sul collo.

Stanno mettendo mano a ogni arma a disposizione. La stampa amica, i giudici disponibili, le forze dell'ordine condiscendenti, i killer politici a orologeria. Per ora, si fermano a questo. In attesa di capire come si metteranno le cose, e in quale direzione spirerà il vento. Per esempio, il vento delle elezioni prossime venture.

Non meravigliamoci se faranno altro ancora, e se ne faranno di ancor più sporche.
Non sottovalutiamo. Ma non intimidiamoci. Teniamo gli occhi aperti e diciamo fin da ora a tutti - dagli osservatori inviati dall'OSCE in Italia per controllare la regolarità delle elezioni, ai vertici dei corpi armati dello Stato, dalla magistratura fino al Parlamento e ai cittadini - che non osino metterci le mani addosso. Nemmeno metaforicamente. Perché sappiamo chi sono e si saprebbe subito chi è stato.

Genchi, purtroppo, è un altro caso da "esperimento". Ancora una volta, si vuol vedere "l'effetto che fa" e misurare il polso all'intero Paese, colpendo con una ingiusta persecuzione una persona che ha fatto solo il proprio dovere, dal giorno in cui scoprì da dove partirono i segnali per uccidere Falcone e Borsellino con le rispettive scorte fino a oggi, quando con le inchieste nate in Calabria e allargatesi in tutta Italia ha "rivisto" quelle stesse facce del piduismo elevato a potenza che stavano insanguinando l'Italia e continuano a spolparla dal di dentro.

Non sanno cos'altro inventarsi. Sono in grave difficoltà. Per questo adesso sono più deboli, e quindi più pericolosi.
Ma non ce la faranno. Questo forse è il loro ultimo giro.
Sospendere dal servizio un poliziotto onesto, o indagare un magistrato integerrimo, o fare qualsiasi altra cosa che assomigli a queste a qualcun altro, non gli servirà a nulla. La gente ha capito chi ha ragione e chi ha torto. game over
. " xxx

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Grillo 168 e il silenzio del potere



Mer. 25.03.2009 - Dal Blog di Beppe Grillo (24.03.2009).

" Inizia oggi Grillo 168. Ogni sette giorni commenterò con un video una settimana pazzesca. Attenti! Grillo 168 è un elemento più pericoloso del Polonio 210.
Sono appena tornato da Parma dove ho testimoniato sulla Parmalat. xxx

Mi hanno chiesto come facessi a sapere. Belin, che domande...Lo sapevano tutte le banche e gli organi di controllo. Il giudice, invece del sottoscritto, avrebbe dovuto convocare i responsabili della Consob e della Banca d'Italia di allora e chiedere ragione del loro silenzio. Il silenzio si dice che sia d'oro, ma in Italia il silenzio è di piombo, il silenzio è potere, il silenzio è mafioso, il silenzio è politico. il silenzio è giornalistico.
Buon Grillo 168.

"Grillo 168 inizia! Come il Polonio 210 deve diventare.
La settimana è stata irta di cose. Le ultime, pazzesco, AN che si scioglie nel PDL. Questa diarrea politica. Si è sciolta come una scarica di diarrea nel PDL. E la carta igienica la porterà Gasparri. Quindi può succedere qualsiasi cosa. È successo che ci siamo visti e ci siamo salutati a Firenze. Abbiamo fatto le liste civiche che a giugno saranno presenti in moltissimi comuni, certificate dal blog. Abbiamo fatto la Carta di Firenze. Parliamo di cose come la non privatizzazione dell’acqua, la ripubblicizzazione, le energie rinnovabili, la raccolta differenziata spinta. Insomma, le nostre battaglie sui pannelli, sul wifi libero e gratuito. Le nostre cose. Noi non molleremo mai. È questo il nostro principio.
Stanno cercando di fare cose inenarrabili. Ci ha provato prima Levi, poi ci ha provato D’Alia, poi ci ha provato Cassinelli, adesso ci provano queste cellulitiche che sono in Parlamento. La Carlucci. Dobbiamo parlare di Rete con una che non sa un cazzo perché deve proteggere le major. Ma veramente … Qui siamo ridotti che ci sono tre milioni di disoccupati in più e questi parlano di bloccare la Rete, di bloccare i server. Continuano ad andare avanti col digitale terrestre che è morto. Vai a parlare in Sardegna del digitale terrestre e ti dicono: “Zagasau, gu, sa sau ugusau zau!” una roba indescrivibile.
E qui continuiamo a sparare cazzate. L’ultima cazzata del governo del nano – di Truffolo – è stata quella di dire che abbiamo il tasso di disoccupazione più basso in Europa. Sono balle! Sono balle. Il tasso di disoccupazione è un dato che non può neanche determinare. Infatti l’Eurispes viaggia coi tassi di occupazione. Il nostro tasso di occupazione è il più basso d’Europa. È al 58% con una media invece di occupazione del 67%. Sono palle di questa gentaglia qui.
Basta. Abbiamo visto di tutto. Manganellano gli studenti a Bergamo, a Pisa. Manganelli, la smetta coi manganelli! Per cortesia, la smetta! Non diventi per forza coerente col suo cognome. La smetta!
Non è possibile che i referenti delle istituzioni per i cittadini debbano essere dei poliziotti anti-sommossa. Quelli di Pisa volevano dimostrare che un piazzista come Pera. Uno che era tra i socialisti poi è passato di qua con un carpiato con un coefficiente di incasinamento incredibile – è passato di qua e di là – va a vendersi un libro: “come essere oggi cristiani …” Come essere oggi cristiani?! Vai a fare il piazzista dentro le università degli studenti e gli studenti che vogliono venire a dirti che cazzo fai li dentro li fai manganellare dalla polizia? Allora facciamo una cosa ragazzi. Invece di fare questi casini davanti alle università, fate voi un libro, fate una tesi: come non essere piduisti e mafiosi. E la portate a discutere in Parlamento. Se i parlamentari e i senatori dicono qualcosa, la polizia può caricare liberamente. Veramente quella gente lì va caricata.
È successo qualsiasi cosa, per arrivare ad adesso che sono andato a Parma. Mi hanno di nuovo chiamato. Mi hanno di nuovo chiamato a Parma per la Parmalat. Sono andato a deporre, ho dovuto dire: “lo giuro, lo giuro, lo giuro dirò sempre la verità, lo giuro …” e poi ho ripetuto quello che sapevo nel 2001. Lo scandalo è successo nel 2003 a dicembre. Io nel 2001 dicevo della Parmalat. Ma non perché sono un mostro, per ché sapevo le cose, chissà che controspionaggio facessi. Lo sapevano tutti, lo sapevano tutti.
Perché allora un comico arriva a dire delle cose due anni prima del più grande scandalo finanziario in Europa. Perché? Ve lo spiego io perché. Per questa cosa qui. Vi faccio vedere la mappa del potere.
I giornalisti sapevano tutto, ma non potevano dirlo. Io che non sono un giornalista, lo dicevo. Però era troppo poco dirlo nelle piazze, nei palazzetti, per la strada. Sarebbe bastato un minuto di un telegiornale, di un telegiornale serio che facesse un servizio pubblico. Un minuto di un giornalista serio, coi contro-coglioni, che avesse detto quello che era. Bastava andare sul sito della Banca d’Italia, nel sito adatto, per vedere l’indebitamento delle società quotate in borsa. C’erano tutti. Sono andato là, ho portato tutti i documenti della Fiat e della Telecom, così si portano un po’ avanti col lavoro già che ci siamo. E perché non si può parlare e perché nessuno parlava di queste cose.
La mappa del potere. Prendiamo ad esempio il più grosso gruppo editoriale che abbiamo - l’industria editoriale, ormai una parola che non significa più niente, stanno fallendo tutti, stanno chiudendo quasi tutti – il Corriere, finanziato con 18 milioni di euro di soldi dal Governo. Ecco perché è filo governativo. Chiunque sarebbe filo governativo se il governo gli da 18 milioni di euro così, a babbo morto.
Bene, il gruppo RCS Mediagroup SpA, quotato in borsa, vediamo chi sono, chi c’è dentro il gruppo. Ecco perché nessuno parlava e nessuno può parlare ancora oggi. C’è un conflitto di interessi che non è neanche più un conflitto. Ci sono tutte le banche. Dentro la partecipazione azionaria del gruppo RCS Mediagroup SpA ci sono: Merloni Invest SpA, Sinpar Società di Investimenti e Partecipazioni SpA col 2%, il Banco di Napoli SpA, Banca Imi con lo 0,005%, il 5,9% quasi il 6% UBS Fiduciaria, Pandette Finanziaria col 3,9%, Generali, Ina Assitalia, Toro Assicurazioni, Intesa SanPaolo con il 5%. Allora? Queste sono quelle quotate in borsa. Poi, dentro la proprietà ci sono anche aziende che non sono quotate in borsa, sempre dentro il gruppo. C’è la Sasa, Fiat, Societé De Partecipation Financiere Italmobiliare SpA, Saifin Sai, Sasa Assicurazioni e Riassicurazioni SpA, Partecipazioni Editoriali, la Sainternational SA, Dorint Holding, Franco Tosi, Edizione Holding, Siat Società Italiana Assicurazioni e Riassicurazioni. E poi ci sono i consiglieri che sono dentro. Io vorrei che voi vedeste questa mappa. Ve la faccio vedere. La vedete questa mappa? Quegli omini lì sono tutti veri, con nomi e cognomi.
E abbiamo gente che è consigliere in 7 società contemporaneamente, che sono anche in concorrenza. Vi faccio qualche nome, qualche ditta. Perché io non racconto delle balle. Tamburi Giovanni: Tamburi Investment spa - presidente e amministratore delegato, amministratore in Interpump group spa , è amministratore in Datalogic spa, amministratore in De longhi spa, amministratore in Immsi spa, amministratore in Zignago vetro spa, vice presidente in M&c management & capitali spa. Ligresti Jonella, la figlia di Ligresti, è nella Fondiaria sai spa - presidente del consiglio di amministrazione, è vicepresidente in Premafin finanziaria spa holding di partecipazioni, è nel consiglio di amministrazione di Rcs mediagroup spa, amministratore di Milano assicurazioni spa, amministratore di Italmobiliare spa, è consigliere di sorveglianza, perché sorveglia anche Mediobanca spa. E poi andiamo a De Benedetti, Diego Della Valle, Carlevaris, Delfino, sono tutti in assoluto conflitto di interessi. La Borsa andrebbe chiusa domani mattina. È questo che ho detto io!
Quindi io vi lascio alla prossima settimana. 168. Mi raccomando. Grillo 168, peggio del Polonio 210. Ciao!"

Vai a la Mappa del Potere. " xxx

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martedì 24 marzo 2009

Per una nuova Resistenza: con Gioacchino Genchi



Mar. 24.03.2009 - Dal Blog di Salvatore Borsellino "19 luglio 1992".

" Da ieri Gioacchino Genchi è stato sospeso da ogni funzione dalla Polizia di Stato.
Col provvedimento di sospensione dal servizio sono stati ritirati il tesserino, la pistola e le manette.
La motivazione è addirittura una replica ad un giornalista di Panorama che lo accusava di essere un bugiardo lasciata sulla sua bacheca di Facebook, in cui Genchi si difendeva in modo misurato e contenuto. xxx

Riteniamo che ieri si sia toccato il fondo in una vicenda che ha chiarito, qualora ce ne fosse stato bisogno, cosa può accadere a chi cerca di fare luce sui coni d’ombra di cui l’Italia è piena, a chi vuole dare giustizia ai familiari delle vittime delle stragi, a chi vuole smantellare i comitati d'affari e le nuove P2. Chi tocca i fili dell'alta tensione muore. Noi forse siamo ancora in tempo.
Siamo indignati e sconcertati da quello che sta accadendo ad uno dei migliori uomini dello Stato italiano, un uomo che forse quello stesso Stato fondato sul sangue delle stragi del 1992, non merita, come non lo meriteremmo noi se rimanessimo inermi ad assistere a questo massacro.
Abbiamo deciso che è ora di reagire, e non più con comunicati, con articoli e con sterili prese di posizione. Noi vogliamo mostrarci, vogliamo farci vedere da chi in questo momento sta decidendo sul futuro del dott. Genchi. Senza violenza e senza aggressività, senza guerriglia, che non ce ne voglia il ministro Brunetta.
Pacificamente vogliamo dimostrare che Gioacchino Genchi è circondato da persone per bene che nutrono per lui una stima e un'ammirazione incondizionata.
Per questo vi invitiamo ai

SIT IN DAVANTI A TUTTE LE QUESTURE D'ITALIA SABATO 28 MARZO DALLE ORE 10 ALLE 15.

Vi chiediamo di contattarci non appena avrete formato un gruppo di almeno 10 persone per coordinarci e per darci un'unica regia che ci unisca in una manifestazione che sensibilizzi e che spieghi, a chi nulla sa di questa vicenda, cosa sta davvero accadendo.
Noi temiamo che la sospensione di Gioacchino Genchi non sia il punto d’arrivo. Temiamo che altro possa accadergli.
Reputiamo scandaloso, infine, che coloro che hanno dato il la a questa sporca vicenda, i Ros dei Carabinieri, siano guidati da un soggetto che in questo momento è sotto processo a Palermo con l´infamante accusa di favoreggiamento aggravato nei confronti di cosa nostra.
E’ Mori che deve essere sospeso, non chi ha assestato colpi durissimi a cosa nostra, una organizzazione che non dimentica e colpisce chi lo stato non è riuscito a proteggere.

Sonia Alfano
Benny Calasanzio
Salvatore Borsellino " xxx

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domenica 22 marzo 2009

Ci vorrebbe il mare - (Marco Masini) da Chicca a Fabio

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Per l'economia della truffa l'ultima spiaggia è sempre la penultima - 19/03/09



Dom. 22.03.2009 - Dal sito "Megachip" (19.03.2009).

" di Giulietto Chiesa – da «Galatea European Magazine», aprile

Una delle cose più comiche di questa società dello spettacolo è il vedere sfilare sugli schermi tv, una dietro l'altra, le facce impudenti di coloro che hanno prosperato creando la catastrofe per tutti noi, accuratamente nascondendoci quello che stavano facendo, o coprendo. xxx

Parlo di banchieri, “centrali” e meno centrali, ma anche di giornalisti, commentatori, di pagine economiche e di prime pagine. Tutti lautamente retribuiti per non dire quello che sapevano, o che avevano l'obbligo professionale almeno di supporre.

E ce l'ho in particolare con quelli che capivano, gli altri essendo troppo stupidi per capire, anche se non abbastanza da rifiutare di ficcare le mani nella cornucopia che si trovavano davanti.

Va de sé che, non avendo detto la verità prima, non la dicono neanche adesso. Anzi fanno a gara tra loro per dire due cose, entrambe false. La prima consiste nel mantra “io l'avevo detto”. La seconda - peggiore - consiste nel pronosticare i tempi della crisi. Quanto durerà? Chi dice un anno, e poi “ci sarà la ripresa”. I più onesti, e i meno ottusi - e sono pochini - ormai ammettono che sarà una lunga sofferenza. Ma il termine lungo, per gente che ha vissuto gli ultimi vent'anni “a trimestre” non può andare più in là di due anni.

Si capisce, qua e là, che siamo già oltre la gravità della “Grande Depressione” del 1929 e successivi. Che fu, infatti seguita da una “ripresa”, ma oltre dieci anni dopo, e ci volle una guerra mondiale prima di vederla. Ma di questo nessuna delle suddette facce disquisisce: troppi trimestri in là. Ora, a buoi usciti dalla stalla, sciorinano i loro pronostici edulcorati, dimenticando di ricordare, per esempio, che alla vigilia del crack del 1929 l'America era il più grande creditore netto del pianeta, mentre nel 2009 è diventato il più grande debitore mondiale. E dimenticano anche che allora il dollaro era ancora “una delle monete”, mentre ora è “la moneta” di riferimento mondiale e, se cade questa, non ci saranno argini per lo tsunami planetario.

Dopodiché non è escluso che ci sarà qualche “ripresa”, ma bisognerà allora vedere fin dove si sarà scesi prima di pensare a risalire. Discorso lungo e serio, per cui torniamo al comico.

Consistente, come s'è accennato, nel chiedere prognosi a coloro che le hanno sbagliate tutte. Questo sì che è fenomenale! Equivalente a fare la coda, quando si prende la polmonite, per farsi visitare dal macellaio, ovvero, a prestare la chiave di casa al ladro. È quello che fanno ogni giorno le più importanti istituzioni finanziarie mondiali. Per sentire il polso della crisi consultano quelle stesse agenzie di rating che, letteralmente, non ne hanno azzeccata una. Prendi, ad esempio, la prestigiosa Moody's. O la Standard & Poor's, o la Fitch. Il loro voto decideva l'andamento in borsa di una grande corporation, ma poteva condannare o salvare un intero paese. Adesso, se andassimo a vedere i loro registri dei voti - diciamo, per esempio, quelli degli anni 2000-2003, quando tutto era già evidente anche a un cieco - scopriremmo invariabilmente che davano dieci e lode anche ai più asini tra gli asini.

Quanto dovrebbero valere i loro voti adesso? Sussurriamocelo: zero.

E invece rieccoli al capezzale nostro a spiegarci, con il solito sussiego, come mai la banca che ci avevano consigliato di scegliere è fallita. Lo sappiamo da soli che è fallita. Il loro mestiere era quello di dirci in anticipo quante probabilità c'erano che fallisse. Ci dicevano invece il contrario. L'avessero fatto gratis potremmo solo strapparci i capelli, piangendo per avere affidato il nostro piccolo capitale a dei coglioni. Sfortuna, che altro? Invece scopriamo che si sono pure fatti pagare dai truffatori per raccontarci frottole.

E non sono ipotesi. I giornali hanno - finalmente- pubblicato le e-mail che si scambiavano tra di loro i dirigenti di queste società di rating. Alcune, s'intende, ma immagino che se ne potrebbero stampare volumi.

«Questo affare è ridicolo - scriveva uno - non dovremmo renderlo credibile con il nostro voto». E l'altro rispondeva: «Ma che dici? Il nostro compito è dare rating a tutti, anche a un titolo strutturato da una vacca».

Un altro - e siamo ai vertici di Standard & Poor's - scrive, malinconicamente (anche i furfanti hanno momenti di debolezza) : «la verità è che non solleviamo mai le tende delle nostre finestre per guardare fuori quello che succede, non ci facciamo domande sulle informazioni che ci forniscono. Abbiamo venduto l'anima per una frazione di fatturato».

E l'altro risponde - ed è l'epitaffio di tutta questa storia, che già viene pagata da decine di milioni di disgraziati -: «Speriamo di essere già pensionati, e ricchi quando tutto questo castello di carte cadrà».

Avete mai sentito una di queste benemerite istituzioni di rating che ci dicesse che il signor Bernard Madoff stava truffando tutto e tutti e che la sua era una graziosa catena di Sant'Antonio da 60 miliardi di dollari? Ovviamente silenzio, ma si scopre ora che il plurimiliardario Warren Buffet, di fronte al quale tutta la stampa economica si profonde in inchini a tutt'oggi, è proprietario del 20% delle azioni di Moody's. Adesso fa il broncio perché, dice, neanche lui fu avvertito.

Naturalmente gl'inchini continuano, forse perché gli sono rimasti abbastanza miliardi di dollari da poter mettere in riga anche l'Amministrazione di Washington, ma credo gli si potrebbe chiedere come mai - da genio della finanza qual è - ha taciuto mentre tutte le grandi banche d'investimento americane si scioglievano come neve al sole.

Forse era lui che doveva avvertire la “sua” Moody's, visto che stava partecipando più o meno segretamente, ad alcuni tentativi di salvataggio proprio delle banche che le agenzie di rating continuavano a dare per solide.

E, a proposito di banche d'investimento, vi siete accorti che sono sparite tutte? Erano cinque, i gioielli della globalizzazione americana. Il loro volume d'affari faceva impallidire i bilanci nazionali di interi stati, e non dei più piccoli.

Adesso possiamo dire, senza tema di smentite, che erano cinque truffe planetarie. Lehman Brothers e Bear Sterns sono fallite tout court; Merryl Lynch è stata assorbita da una banca commerciale (tutt'altro che immacolata), la Bank of America; Goldman Sachs e Morgan Stanley sono state trasformate in banche ordinarie sotto la garanzia dei soldi stampati dalla Federal Reserve.

In tutto questo il Mercato , con la M maiuscola, non c'entra niente. Se lo avessero usato non saremmo in questo pasticcio.

E adesso che fare, in attesa della “ripresina” che, come Godot, tutti attendono ma che non verrà?

Per rispondere sarebbe utile dare un'occhiata alla “quarta crisi” quella di cui nessuno parla, ma che è componente essenziale, concausa, compartecipe, complice del silenzio assordante che ha coperto l'arrivo della crisi finanziaria, di quella energetica, di quella climatica, per restare alle maggiori.

Parlo della crisi dell'informazione, del collasso morale e intellettuale del giornalismo. Quelli che dovevano raccontarci, spiegarci ciò che stava maturando non l'hanno fatto. Perché? La risposta è semplice: perché erano parte della truffa e, dunque, non potevano raccontarla. Non ci fossero stati i media, le televisioni in particolare, a costruire il grande spettacolo di questa società illusoria in cui credevamo di vivere, non fosse stata in funzione, 24 ore su 24 la colossale fabbrica dei sogni e delle menzogne che è divenuto il mainstream globale, tutto ciò di cui stiamo parlando non sarebbe stato possibile.

Segni di resipiscenza? Non molti. Prendo in mano l'ultimo numero della prestigiosa rivista «Time». Quella che, nel febbraio 1999 dedicò la sua copertina al “Comitato che ha salvato il mondo”. Indovina che era il comitato? Alan Greenspan, Larry Summers e Bob Rubin. Gli ultimi due dei tre, per altro, sono come le agenzie di rating, sempre sulla breccia.

Adesso il direttore di «Time», Richard Stengel, promette di guidare i suoi lettori nella navigazione in un mondo che cambia. «Quale sarà la nostra missione?» - dice: -«Spiegarti cosa sta cambiando e perché, e cosa tu puoi fare in proposito». Capito l'antifona? Adesso ti invitano a partecipare alla raccolta dei detriti. Ma come si può farlo? «Con grandi reportages - dice Stengel - grandi capacità di scrittura, grande fotografia, grande video on line».

Tutto qui? E fino a ieri che cosa hanno fatto?

Non solo «Time», ma tutti insieme, appassionatamente, i media? Penso a quell'oracolo del “Mercato” (sempre con la m maiuscola) dell'«Economist», che in tutti questi anni bastonava severamente le dita a chiunque osasse parlare dell'intervento dello stato nell'economia, il thatcheriano d'acciaio inossidabile che spiegava le meraviglie della globalizzazione finanziaria.

Ma, per restare in casa nostra, penso al «Sole 24 ore», alle pagine economiche del «Corriere della Sera» e di «Repubblica». Come mai non hanno avvertito? Riprendo in mano l'ultimo numero di «Time» e guardo i titoli. Il futuro, per «Time», è la fotocopia del passato. «Come si affitta un intero paese»; «Africa, il nuovo business»; «Come far diventare verde il consumo». Eccetera, eccetera.
Una specie di vademecum al suicidio. " xxx

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La crisi economica USA - Alle origini della più grande truffa della storia


Dom. 22.03.2009 - Dal sito "Megachip" (16.03.2009).

" di Ugo Natale - Megachip

NEW YORK - In vasti settori dell’opinione pubblica americana c’è oggi la tendenza a ritenere Bush il colpevole della crisi che ha messo in ginocchio gli USA. Non vi è alcun dubbio che la presidenza di Bush junior sia stata una delle peggiori disgrazie capitate a questa giovane nazione. xxx

Sarà evidentemente la Storia a giudicarlo, anche se è già lecito dire che Bush il giovane è stato sicuramente il peggiore presidente della storia americana, certamente come immagine ma forse non come contenuti, almeno per quanto riguarda l’attuale crisi economica e finanziaria, perché per cercare di spiegare la più grande truffa finanziaria messa in atto da quando l’uomo ha cominciato a camminare da bipede, bisogna andare indietro a tempi pre-bushiani.

Nel 1980 il grande predicatore fu eletto presidente degli USA. Ronald Reagan era il classico discendente dei primi “pellegrini”. quelli cioè che di giorno massacravano gli Indiani e la sera si battevano il petto con la Bibbia. Uno dei suoi motti era:«L’intervento dello Stato non è la soluzione ai nostri problemi, anzi è proprio la presenza dello Stato ad essere il problema».

Gli sciacalli “banchieri” e “finanzieri” capirono che il cowboy era disposto a lasciare incustodito il pollaio e si misero quindi al lavoro. La loro strategia era semplice. Individuare il punto debole del recinto e convincere il cowboy a togliere i paletti che sostenevano il recinto di protezione. Una volta fatto ciò, la festa sarebbe stata assicurata. Il punto d’ingresso del pollaio fu individuato nelle Savings and Loans Banks, le piccole ma solide banche dell’immensa provincia Americana.

Nel 1831 a Frankford, Pennsylvania, 37 individui fondarono la Oxford Provident Building and Loan. Ognuno dei 37 soci pagò 5 dollari per un’azione e continuò a versare 3 dollari al mese. Non era una vera banca perché non vi erano clienti e non veniva pagato alcun interesse sul denaro che i soci versavano. Quando però la banca ebbe abbastanza soldi in cassa, fece un prestito di 500 dollari a qualcuno il quale si impegnò ad usare il denaro per costruire una casa. Da quel momento le due idee di risparmio e prestito si sposarono e nacquero le Savings and Loans Banks. Attiravano denaro promuovendo il risparmio e rimettevano in circolo il denaro stesso prestandolo all’Americano medio che voleva coronare il centro del suo “american dream”, possedere una casa.

Quando la grande crisi del 1929 decimò queste piccole banche il governo decise di intervenire con una serie di misure atte a regolamentare l’industria bancaria per proteggere i cittadini risparmiatori da ulteriori catastrofi.

Gli interventi governativi cominciarono sotto il presidente Hoover e culminarono sotto Roosevelt con la promulgazione nel 1933 del Glass-Seagall Act. Con esso si faceva una distinzione netta e precisa tra “commercial bank” e “investment bank”.

Questo perché c’era motivo di credere che proprio gli sconfinamenti delle banche commerciali in operazioni di investimenti troppo rischiose e spesso poco chiare, erano stati fra le cause primarie del disastro finanziario del 1929. Per quanto riguardava le casse di risparmio furono messi dei paletti che ne limitavano fortemente i movimenti. Non potevano aprire conti correnti ma solamente libretti di risparmio. C’era un tetto sul tasso d’interesse pagato ai risparmiatori così come vi era un massimo tasso d’interesse che le banche potevano caricare sui prestiti, i quali erano fatti solamente per l’acquisto di immobili a scopo residenziale e avevano una durata media trentennale.

Le piccole Savings and Loans Banks che offrivano un ferro da stiro o un frullatore a chi apriva un conto nelle loro banche trotterellarono con limitati guadagni ma praticamente senza problemi fino alla fine degli anni settanta, quando un notevole aumento dell’inflazione le mise in difficoltà.
Ma considerando le restrizioni in atto vi erano poche strade da percorrere e una di queste era naturalmente quella di convincere il governo, attraverso le giuste lobby, ad aprire i cancelli. E così tra il 1980 e il 1982 ci fu la catastrofe della “deregulation” che segnò l’inizio della fine delle Savings and Loans banks.

Il tetto dei tassi di interesse attivo e passivo fu tolto, e fu consentito alle banche di aprire conti correnti.

Prima della “deregulation” il 5% dei beni della banca doveva essere mantenuto come capitale liquido per fare fronte a eventuali perdite, ma con la “deregulation” questo importantissimo paletto fu dimezzato. In origine le casse di risparmio quando emettevano un prestito dovevano spalmare la commissione ricevuta in un periodo di 10 anni, ma nel 1981 Reagan insediò alla Federal Home Loan Bank Board un certo Dick Pritt il quale sradicò questo altro importante paletto consentendo alla banche di scrivere come attivi nei loro libri contabili le commissioni nel momento stesso in cui emettevano i prestiti.

Nello stesso 1981 il Congresso USA diede un’altra mano ai lupi in agguato. Le Savings and Loans Banks avevano in cassaforte una montagna di mutui trentennali che praticamente collezionavano polvere senza portare reali guadagni alle banche stesse. Il governo intervenne con una legge che consentiva alle casse di risparmio di vendere i mutui giacenti in cassaforte.

Così i “big” di Wall Street scesero in campo. Compravano i mutui dalle casse di risparmio, li combinavano come se fossero ingredienti di una torta e quando questa era pronta la rivendevano a fette come se fossero obbligazioni. Le casse di risparmio vendevano i vecchi mutui con uno sconto del 35% per avere capitale fresco da mettere in investimenti più lucrativi. E infatti si arrivò al 1982 con l’approvazione del “Garn-St.Germain Act”, grazie al quale si aprirono i mari ai pirati della finanza. Da quel momento infatti le casse di risparmio erano autorizzate ad emettere carte di credito e sopratutto potevano a quel punto fare qualsiasi tipo di prestito per qualsiasi finalità.

Il recinto era finalmente aperto e la festa iniziò. Le Savings and Loans Banks cominciarono a fare prestiti a destra e a sinistra, sopra e sotto, senza nessun controllo da parte delle autorità preposte e sopratutto senza preoccuparsi della solvibilità dei prestiti stessi. Esse cominciarono allora a finanziare tutto, acquisto di terreni, proprietà commerciali di tutti i tipi e soprattutto finanziamenti per la costruzione del nuovo simbolo del “made in USA” e cioè il “Mall”, lo spersonalizzato ed anonimo conglomerato di negozi al coperto che stava diventando il punto di riferimento della famiglia americana.

I finanziamenti si moltiplicarono esponenzialmente, tanto che nessuno si preoccupava dei prestiti che diventavano inesigibili dopo pochi mesi.

Le commissioni ricavate dai nuovi prestiti andavano a coprire parte delle perdite e in più il mercato immobiliare stava attraversando un periodo di prezzi artificialmente gonfiati, sopratutto in Texas, Arizona e Colorado.
Nel 1983 però Edwin Gray prese il posto di Dick Pratt al timone della Federal Home Loan Bank Board. Quello che gli si presentò agli occhi dopo un primo superficiale esame della situazione fu orrendo.
La catastrofe non poteva essere lontana ma sicuramente non c’era né il tempo né la volontà politica, essendo troppo forti le lobby bancarie, per potere fare retromarcia. Le Savings and Loans Banks cominciarono a cadere come uccelli morti fino all’8 Giugno 1988, quando una delle più grandi e famose, la Silverado di Denver, colò a picco portandosi dietro tante altre. Il costo per i contribuenti non fu mai esattamente quantificato, ma tutti sono concordi che si trattò di una cifra vicina ai 500 miliardi di dollari (valore dei primi anni novanta). Neil Bush, fratello di George W, era coinvolto nella vicenda Silverado, ma papà Bush senior aggiustò tutto. E così, mentre l’americano medio pagava, i lupi dopo la lauta festa si ritirarono nei loro rifugi dorati in attesa della prossima occasione.

La lezione era chiara. Dalla “deregulation” del governo Reagan era nata una vera e propria orgia di speculazioni, di profitti illeciti, un enorme saccheggio delle risorse del paese, il tutto nel nome della democrazia e del libero mercato. Si pensava che i nuovi governi fossero più attenti nel custodire il pollaio e invece il peggio doveva ancora arrivare.

Sì, perché negli anni novanta i lupi ritornarono più affamati di prima e più forti che mai. E questa volta scesero in campo i giocatori importanti, i grossi calibri, quelli capaci di decidere il risultato in una finale di campionato del mondo. Questi big decisero infatti che era giunto il momento di cancellare quel pezzo di legislazione comunista che andava sotto il nome di “Glass-Steagall Act del 1933”, che era stato uno dei piloni portanti del New Deal di Roosevelt per quanto riguardava la ristrutturazione del sistema finanziario americano picconato dalla crisi del 1929.

Questa legge in pratica proibiva qualsiasi interconnessione tra banche, agenzie di cambio e intermediazioni e compagnie di assicurazioni. In più separava nettamente i campi di pertinenza tra banche commerciali e banche d’investimento.
Negli anni novanta, a partire dalla fine del 1992, i democratici con Clinton erano al comando e nessuno pensava che un pezzo così importante di legislazione democratica potesse essere stravolta proprio da una amministrazione democratica.
Ma la mafia sa che si può fare “business” con qualsiasi governo, indipendentemente dalla sua colorazione politica, basta avere le giuste chiavi.

Solamente nel 1997 e nel 1998 le lobby di banche e assicurazioni spesero più di 300 milioni di dollari in contributi diretti ai partiti Democratico e Repubblicano nonché in contributi alle campagne elettorali di importanti deputati e senatori dei due partiti. Il 6 aprile del 1998 ci fu la prova generale e cioè la fusione tra Citibank, la più grande banca di New York, e Travelers Group, l’immensa compagnia di assicurazioni che controllava tra l’altro Salomon Smith Barney, la famosissima agenzia di intermediazione. Questo matrimonio era una chiara violazione della legge promulgata nel 1933 (la sunnominata Glass-Seagall Act) e ancora in vigore nel 1998.

Ma quando questa chiara violazione della legge fu fatta notare a Sandy Weill, presidente del nuovo gruppo Citigroup, egli rispose dicendo che col tempo la legislazione sarebbe cambiata e che lui in discussioni ad alto livello aveva avuto assicurazioni che non ci sarebbe stato alcun problema. E infatti nel 1999 avvenne quello che Sandy Weill aveva preannunciato. Il 22 Ottobre 1999 si attuò uno dei più grandi e meschini “inciuci” della storia parlamentare americana. Solo che in USA si chiama “bipartisan legislation”.

Con la totale approvazione democratica e repubblicana fu firmato il “Financial Services Modernization Act of 1999” che praticamente cancellava il “Glass-Steagall Act of 1933”.

Il «Wall Street Journal» gongolava nel dire che finalmente L’America si stava scrollando di dosso i fantasmi del 1929, ma quasi tutti gli addetti ai lavori sapevano che si stava iniziando un viaggio pericolosissimo, perché questo sconvolgimento delle regole stava creando una diabolica alleanza tra banche, compagnie di assicurazioni e le “madrasse” della pirateria finanziaria meglio conosciute come gli “stock market”.

Infatti la borsa non ubbidisce più alle leggi di domanda e offerta e non dipende dalle forze del libero mercato. Lo stock market è invece manovrato dagli sciacalli della finanza i quali hanno solamente l’interesse di rubare quanto più possibile e scaricare i cadaveri nelle mani del governo. E d’altra parte è anche giusto che deputati e senatori facciano la loro parte dato che in fin dei conti hanno intascato un mare di soldi dalle lobby per svendere gli interessi dei cittadini.

Il meccanismo messo in atto ultimamente è stato più meno lo stesso di quello attuato durante la crisi delle Savings and Loans Banks.
Le differenze ci sono ma non cambiano la sostanza dell’operazione, cioè la truffa.

Innanzi tutto l’impiego da parte di Wall Street di veri e propri matematici e ingegneri finanziari i quali hanno sfornato una serie di prodotti impossibili da decifrare, alieni a qualsiasi modello economico ma sopratutto così volatili nella loro messa in opera e nel loro legame con li mercati di borsa che praticamente sono incontrollabili anche da parte dei più esperti broker.
Seconda differenza è che questa truffa nata negli USA, ha generato una quantità di prodotti tossici così grande che i “Wallstreettini” hanno dovuto usare la componente G della truffa e cioè la Globalizzazione, per esportare quanti più rifiuti tossici possibili a tutti coloro che - sciacquandosi ogni mattina la bocca con le parole globalità e liberalizzazione - consapevolmente hanno accettato l’invito americano a truffare la gente onesta.

Ultima differenza comunque importantissima è la cifra. È chiaro che non sarà mai possibile quantificarla, ma è altrettanto chiaro che parliamo di numeri colossali, nell’ordine delle migliaia di miliardi di dollari. Il risultato finale è che i lupi sono scappati ancora una volta o continuano a viaggiare con i jet privati da un posto all’altro, mentre i governanti chiedono sacrifici a tutti per seppellire i morti e ripulire l’ambiente.
La classe operaia invece che andare in paradiso è già sprofondata all’inferno, mentre la borghesia sta annegando in un mare di debiti che prima o poi la sommergerà completamente, probabilmente prima della prossima truffa. " xxx

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venerdì 20 marzo 2009

Il nucleare è morto, ma il nostro Governo non lo sa

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martedì 17 marzo 2009

Genchi: Informazione orizzontale - Antonio Di Pietro

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venerdì 13 marzo 2009

Fascist Legacy - Una Eredità Scomoda - parte 5/5 (Ita)

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Fascist Legacy - Una Eredità Scomoda - parte 4/5 (Ita)

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Fascist Legacy - Una Eredità Scomoda - parte 3/5 (Ita)

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Fascist Legacy - Una Eredità Scomoda - parte 2/5 (Ita)

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Fascist Legacy - Una Eredità Scomoda - parte 1/5 (Ita)


Ven. 13.03.2009 - Da "MicroMega".

" Fascist Legacy ("L'eredità del fascismo") è un documentario della BBC sui crimini di guerra commessi dagli italiani durante la Seconda Guerra Mondiale. La RAI acquistò una copia del programma, che però non fu mai mostrato al pubblico. xxx

La7 ne ha trasmesso ampi stralci nel 2004. Il documentario, diretto da Ken Kirby, ricostruisce le terribili vicende che accaddero nel corso della guerra di conquista coloniale in Etiopia – e negli anni successivi – e delle ancora più terribili vicende durante l’occupazione nazifascista della Jugoslavia tra gli anni 1941 e 1943. Particolarmente crudele la repressione delle milizie fasciste italiane nella guerriglia antipartigiana in Montenegro ed in altre regioni dei Balcani. Tali azioni vengono mostrate con ottima, ed esclusiva, documentazione filmata di repertorio e con testimonianze registrate sui luoghi storici nella I puntata del film. Il documentario mostra anche i crimini fascisti in Libia e in Etiopia. Nella II puntata il documentario cerca di spiegare le ragioni per le quali i responsabili militari e politici fascisti -colpevoli dei crimini- non sono stati condannati ai sensi del codice del Tribunale Militare Internazionale di Norimberga, per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Conduttore del film è lo storico americano Michael Palumbo, autore del libro “L’olocausto rimosso”, edito -in Italia- da Rizzoli. Nel film vengono intervistati -fra gli altri- gli storici italiani Angelo Del Boca, Giorgio Rochat, Claudio Pavone e lo storico inglese David Ellwood. " xxx

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Così hanno salvato il Cavaliere Berlusconi



Ven. 13.03.2009 - Da "Micromega", 02.03.2009.

" Gli incredibili salti mortali della procura di Roma per archiviare il caso Berlusconi-Saccà. Con motivazioni smentite dai fatti

di Marco Lillo, da l'Espresso xxx

E ora chi lo va a dire ad Agostino Saccà? Per archiviare il procedimento contro il presidente del consiglio e l'ex manager di Rai Fiction, la Procura di Roma è stata costretta a smentire le affermazioni, la filosofia e la stessa ragione di vita del suo indagato. Uno dei pilastri sul quale poggia l'atto che chiede il proscioglimento per Berlusconi e per il manager Rai è infatti la mancanza della qualifica di "incaricato di pubblico servizio" per Saccà (l'altra è la mancanza della prova dello scambio, del do ut des, tra il manager e il premier). Per i pm di Roma Saccà non può essere corrotto, né da Berlusconi né da altri, perché la fiction Rai, il suo regno incontrastato fino al dicembre scorso, non è vero servizio pubblico. Esattamente il contrario di quello che il manager diceva in ogni conferenza stampa o intervista. Quando c'era da presentare l'ennesima soap sull'anoressia o sul a mafia, quando c'erano da difendere gli investimenti miliardari per produrre serie dalla durata sterminata, il manager Rai ha sempre detto con orgoglio: «Questo è il servizio pubblico». Siamo noi, spiegava Saccà ai giornalisti, che abbiamo raccontato agli italiani il romanzo popolare del '900. Siamo noi che abbiamo affrontato le vicende spinose della Seconda guerra mondiale e la storia dei Corleonesi. Saccà rivendicava con fierezza il suo ruolo di civil servant. Proprio quello che i pm romani gli hanno tolto per salvare lui e il premier.

PUBBLICO O PRIVATO?
Se la Rai con i suoi sceneggiati facesse servizio pubblico, Saccà sarebbe un incaricato di pubblico servizio soggetto (in caso) ai reati di corruzione e concussione. Per questa ragione i pm per prosciogliere Berlusconi e Saccà sono costretti a "degradare" la sua attività culturale. Per i pm romani solo la fase della trasmissione rientra nel servizio pubblico, non quella della produzione dei contenuti. Saccà quindi è un semplice manager "privato". Alle sue eventuali malefatte si applicano le blande norme riservate ai dirigenti di Mediaset, non quelle rigide che disciplinano l'attività dei capi dei ministeri dell'Anas o dell'Enel. Saccà, dicono i pm, può fare quello che vuole quando sceglie le attrici pagate con il canone degli italiani. Può privilegiare le protette del Cavaliere e sacrificare quelle considerate dagli altri più brave. Non c'è nessun problema. In fondo nessun pm contesterebbe un simile comportamento a Piersilvio Berlusconi e ora, se la giurisprudenza elaborata a Roma prenderà piede, nessuno potrà contestarlo non solo a Saccà ma anche a Fabrizio Del Noce (Rai uno) o Giancarlo Leone (Rai cinema) e così via. Per tenere fuori Berlusconi e Saccà dal ginepraio nel quale si erano cacciati con le loro incaute conversazioni, la Procura di Roma ha fatto davvero i salti mortali. Le cinque paginette dell'archiviazione prontamente distribuite ai cronisti (dovrebbero essere segrete, ma evidentemente a Roma il segreto non tutela le indagini bensì gli indagati eccellenti) cancellano le massime della Cassazione e numerosi pronunciamenti di altri magistrati.

A partire dalla sentenza della Suprema Corte del 1996 sul caso Baudo-Lambertucci-Venier. Quando i presentatori televisivi furono accusati di concussione per i compensi extra richiesti agli sponsor per i loro show, si difesero negando la loro qualifica di incaricati di pubblico servizio. Ma, prima i pm poi i giudici e infine la Cassazione, stabilirono il principio in base al quale al di là della qualifica privata della società Rai e al di là del contratto privato delle star, rileva il fatto che in ballo ci sono soldi pubblici. Una massima che valeva quando si sottraevano risorse pubblicitarie alla Rai facendo la cresta sugli sponsor e a maggior ragione dovrebbe valere oggi con Saccà che - a differenza di Baudo e amici - non maneggia denari privati ma pubblici.

La procura di Napoli, forte di questo precedente, ma consapevole della delicatezza della questione, aveva blindato sul punto l'indagine chiedendo addirittura un parere a un luminare del diritto costituzionale, Michela Manetti, professore ordinario a Siena. La professoressa, al termine di un lungo studio della legislazione vigente, aveva concluso che Saccà è un incaricato di pubblico servizio. Da quello che è dato leggere nelle pagine distribuite ai cronisti, la Procura di Roma non ha degnato il parere nemmeno di un cenno.

COSI' PARLO' IL CAVALIERE
Anche l'altro pilastro della richiesta si basa su una smentita delle parole di un indagato, che stavolta è Berlusconi. I pm, dopo avere smontato la qualifica pubblica di Saccà, entrano nel merito per sostenere che ? anche se Saccà fosse un pubblico ufficiale ? il reato non c'è. Il fatto è che, dicono, manca lo scambio, il ''do ut des'', il cosiddetto ''sinallagma corruttivo''. Per la Procura di Napoli Saccà aiutava le attricette amiche di Berlusconi. E il premier prometteva un aiuto futuro nella sua attività di libero imprenditore ma - per i pm romani - il do ut des non è provato. Purtroppo, non è la Procura di Napoli a sostenere che le due cose (la spinta nei cast alle ragazze e l'aiuto a Saccà imprenditore) siano collegate. Lo dice Berlusconi stesso: «Agostino, aiuta Elena Russo perché è come se aiutassi me e io ti contraccambierò quando sarai imprenditore».

Parole alle quali Saccà non risponde: «Ma come si permette?», oppure: «Silvio, non ti scomodare, non c'è bisogno che mi aiuti, lo farei lo stesso per i rapporti che ci legano». Alla profferta di Berlusconi, Saccà replica prima ridendo, poi dicendo sì, e infine chiudendo la telefonata con un «grazie presidente». Quella telefonata è stata pubblicata da ''L'espresso'' ed è ancora ascoltabile on line. Eppure per i pm non basta: la promessa è vaga, manca la prova dell'accettazione. E non è dimostrato che ci sia un legame tra l'offerta e la selezione delle attricette. E tanti saluti al ''ti contraccambierò'' pronunciato dal Cavaliere. Quello che è accaduto non ha molti precedenti. Il fascicolo contro Saccà, infatti, non era più segreto e ''L'espresso'' aveva potuto pubblicare gli audio di una dozzina di intercettazioni (tra le oltre 10 mila depositate) perché le indagini erano chiuse con la richiesta di rinvio a giudizio, l'alba del contraddittorio, l'avvio del processo con la sua pubblicità, garanzia di trasparenza e di giustizia. Nella stragrande maggioranza dei casi ? la richiesta di rinvio a giudizio presentata da una procura viene confermata dai pm dell'altro ufficio giudiziario che ricevono gli atti per competenza territoriale. In fondo è una questione di economia e di logica. I pm napoletani conoscono l'inchiesta, hanno diretto per mesi gli uomini della Guardia di Finanza, hanno ascoltato migliaia di intercettazioni, hanno sentito decine di testimoni. La scelta della Procura capitolina ha certamente fatto piacere a Berlusconi che può ora sostenere di essere stato vittima di una persecuzione giudiziaria in salsa partenopea che lo ha inseguito fin nei suoi rapporti più privati ma soprattutto perché la decisione di Roma finalmente sembra mettere la sordina su una selva oscura di intercettazioni che lo preoccupava da mesi. Non a caso nella richiesta di archiviazione si precisa che le trascrizioni e i file audio andranno distrutti, perché irrilevanti. Questa attenzione (prontamente comunicata alla stampa) ha certamente fatto felice Berlusconi più dell'archiviazione in sé.

QUESTIONE DI IMMAGINE
Anche se i giornali continuano a parlare di corruzione e rinvio a giudizio, quella che si è giocata in questi sei mesi nei palazzi di giustizia di Napoli e Roma è una delicatissima partita a scacchi che non ha avuto come posta il destino dell'indagine ma quello dell'immagine del premier. La storia dell'inchiesta di Napoli, del suo trasferimento a Roma e ora della sua richiesta di archiviazione deve essere raccontata proprio da questo angolo di visuale. L'unico che conta davvero. Tenendo a mente che la posta in gioco di questa partita disperata per il Cavaliere non era l'assoluzione o il rinvio a giudizio ma la pubblicazione delle telefonate o la loro distruzione.

Berlusconi ieri si è aggiudicato, grazie alla Procura di Roma, un round molto importante di questa partita ma non ha ancora in tasca la vittoria finale. Proviamo a partire per una volta non dai codici ma dalle bobine. Le intercettazioni del procedimento si distinguono in tre gruppi: le prime sono le 10 mila telefonate dell'utenza di Saccà (circa 8 mila) e del produttore che piazzava le attricette care al premier, Guido De Angelis (circa duemila). Queste e telefonate sono state depositate dai pm di Napoli nel fascicolo principale (quello per il quale ieri è stata resa pubblica la richiesta di archiviazione) e sono dal luglio scorso conosciute dagli italiani grazie a ''L'espresso'' che le ha pubblicate anche in audio.

Tra queste ci sono le sette telefonate di Silvio Berlusconi (quattro con Saccà e tre con De Angelis) che tutti possono ascoltare on line dall'estate scorsa. Poi ci sono un gruppo ristretto di telefonate che sono state depositate nel fascicolo sulla compravendita dei senatori del centrosinistra da parte di Berlusconi e Saccà attualmente in attesa della decisione del Gip sulla richiesta di archiviazione della Procura. Infine, e questo è il punto dolente per Berlusconi, esistono decine e decine di telefonate intercettate sulle utenze di due ragazze care a Berlusconi, Evelina Manna ed Elena Russo, nelle quali si sente più volte la voce del presidente del consiglio. E soprattutto si sentono le ragazze discettare con le loro amiche dei loro rapporti con il premier, delle sue promesse, delle loro delusioni che talvolta sconfinano nel risentimento.

Una parte di queste telefonate, secondo la Procura di Napoli, avrebbe meritato da parte dei pm di Roma un'attenta analisi per verificare addirittura se non si potesse configurare in capo a Silvio Berlusconi il ruolo di vittima. Questo intreccio malmostoso è sempre stato il lato B dell'indagine. Quello che anche la Procura di Napoli ha cercato di sterilizzare per evitare l'accusa di avere voluto frugare nell'intimità del premier. La Procura di Napoli voleva portare a giudizio Berlusconi perché aveva corrotto Saccà e non perché aveva rapporti con quelle ragazze. I due temi però restavano e restano obiettivamente inseparabili. I pm napoletani Paolo Mancuso e Vincenzo Piscitelli, per tutelare la privacy del presidente, avevano elaborato uno stratagemma che aveva l'indubbio pregio del buon senso ma che non era certamente sorretto da solide basi giuridiche.

Le intercettazioni delle ragazze, quelle nelle quali si sentiva la voce di Berlusconi e quelle nelle quali le sue amiche parlavano dei rapporti con il premier, erano state stralciate e posizionate in un fascicolo a parte. Per farne cosa? I pm napoletani avevano rimandato la decisione sul punto al termine dell'inchiesta. Fu allora, nel luglio del 2008, che per la prima volta il destino di queste telefonate e il faticoso iter del disegno di legge Alfano sulle intercettazioni incrociarono le loro strade.

LA CONSEGNA DEL SILENZIO
Il presidente del consiglio, dopo la pubblicazione della copertina de ''L'espresso'' (''Pronto Rai'', 26 giugno 2008) sul caso Saccà con l'audio delle prime telefonate (depositate e a disposizione delle parti, non più segrete) teme che anche le altre telefonate possano essere pubblicate. I suoi legali si precipitano a Napoli e alla vigilia dell'uscita del nuovo numero de L'espresso, con i palazzi romani che diffondono la voce di imminenti rivelazioni piccanti sul premier e le sue ragazze, Berlusconi tira giù l'asso: il 3 luglio minaccia un decreto legge per impedire la pubblicazione delle intercettazioni sui giornali.

Il presidente del consiglio inoltre annuncia che sarà ospite a Matrix e spiegherà al popolo italiano la sua posizione e le sue misure contro questa barbarie, che per inciso lo riguarda in prima persona. Oggi, con il disegno di legge sulle intercettazioni in votazione, è bene ricordare come nacque in quei giorni la grande voglia del presidente del consiglio di imbavagliare la stampa. In quelle calde giornate di luglio si svolge una partita nascosta alle spalle dei cittadini. La minaccia del premier sortisce effetto. Quando i suoi legali ottengono dalla Procura di Napoli rassicurazioni sulla distruzione delle telefonate ''imbarazzanti'', Silvio Berlusconi allenta la presa sulle norme per le intercettazioni.

I pm presentano la richiesta di distruzione delle conversazioni delle ragazze al Gip Luigi Giordano e Mentana resta a bocca asciutta. Silvio Berlusconi non si presenta in tv. Niente decreto, non serve più. Purtroppo però il Gip di Napoli fa saltare la tregua bilaterale. L'8 luglio si dichiara incompetente e non rinvia a Roma solo il fascicolo principale su Saccà ma anche quello ''scottante'' contenente le telefonate delle ragazze. A questo punto il timer del disegno di legge Alfano riprende a ticchettare all'impazzata. E subisce una nuova accelerazione quando la Procura di Roma a novembre del 2008 presenta la richiesta di archiviazione (anche quella segreta e anche quella distribuita alla stampa dalla Procura, solo nella parte meno imbarazzante per Berlusconi) contro Berlusconi e Saccà per il procedimento riguardante la corruzione dei senatori Nino Randazzo e Piero Fuda, eletti con il centrosinistra e corteggiati dal Cavaliere a suon di promesse, di poltrone e altro. Perché Berlusconi entra in ansia quando un altro procedimento si avvia verso la chiusura a suo favore?

Il fatto è che nelle carte dell'inchiesta sulla tentata compravendita dei senatori Randazzo e Fuda sono finite le telefonate che documentano i rapporti tra Silvio Berlusconi e una bellissima attrice trentenne che somiglia a Veronica Lario giovane: Evelina Manna. Berlusconi la raccomandava a Saccà e si giustificava dicendo che non lo faceva per sé ma perché aveva in animo di di usarla come moneta di scambio per convincere un senatore del centrosinistra a passare con il Popolo delle Libertà. Secondo i pm quel senatore, nelle parole di Berlusconi, poteva essere Fuda.

Teoricamente la povera e inconsapevole Evelina Manna sarebbe stata raccomandata per una particina in Rai ? secondo quello che lo stesso Berlusconi dice nelle telefonate con Saccà - non perché legata al Cavaliere ma perché sarebbe stata lo zuccherino per addolcire il senatore calabrese in bilico. Per smentire questa ricostruzione dei fatti, i pm hanno dovuto accertare i rapporti tra il senatore Fuda e Evelina Manna (inesistenti) ma soprattutto quelli (ben più stretti) tra Berlusconi e la Manna medesima. Nella richiesta di archiviazione depositata a novembre si chiarisce che la Manna era raccomandata perché interessava a Berlusconi, altro che Fuda. Proprio per documentare questa amicizia e per scagionare Berlusconi i pm hanno depositato alcune telefonate con la Manna. E, sarà un caso ma poco dopo la richiesta di archiviazione e l'uscita delle prime indiscrezioni sul suo contenuto, Silvio Berlusconi è rientrato in fibrillazione.

''Se pubblicano le mie telefonate'', dichiarava a dicembre sulle prime pagine dei giornali, ''io vado via dall'Italia''. Messaggi precisi agli investigatori che quelle telefonate non avevano ancora distrutto. Infatti i mesi passavano e la Procura di Roma continuava a tenersi questa patata bollente sul tavolo.Che fare? Se il procuratore capo Ferrara avesse inoltrato la richiesta di rinvio a giudizio già formulata a Napoli per Saccà e Berlusconi (evitando così di sconfessare i colleghi), il rischio della pubblicazione sui giornali del materiale ''scottante'' sarebbe stato molto elevato.

TRA PRIVACY E LEGGE
La toppa messa dalla Procura di Napoli a tutela della privacy del Cavaliere non era delle più solide. La distruzione delle telefonate tra Silvio Berlusconi e le ragazze era difficile da argomentare. La Procura proprio nel momento in cui chiedeva di processare il presidente del consiglio perché aveva chiesto a Saccà di violare i suoi doveri per fare avere alle sue protette un posto al sole, chiedeva di distruggere le telefonate delle medesime ragazze raccomandate?. Certo, lo scambio corruttivo, come sosteneva la procura di Napoli si perfezionava con la promessa dell'aiuto a Saccà in cambio della spintarella. Certo, non contava nulla - come spiegavano i pm napoletani- la ragione della raccomandazione.

Certo, il movente del Cavaliere, la causale del suo afflato doveva restare fuori dal processo. Che lui le raccomandasse (come sosteneva con scarsa convinzione con Saccà) perché avevano il padre malato, perché erano in uno stato di profonda prostrazione, o per altri motivi, ai pm non interessava. Purtroppo però poteva interessare ai giudici. Questa tesi, formulata per stendere un velo sulle motivazioni profonde del Cavaliere, alla fine non reggeva. Nella corruzione il movente non è importante per stabilire se c'è il reato, ma diventa fondamentale per determinare l'entità della pena. Se corrompo un funzionario pubblico per aiutare una ragazza che ha il padre malato avrò diritto a tutte le attenuanti del mondo. Se corrompo un incaricato di pubblico servizio per piazzare la mia amichetta, no. Ecco perché, in caso di richiesta di rinvio a giudizio, il gip avrebbe potuto e forse dovuto ordinare alla Procura di depositare tutte le telefonate dalle quali si poteva evincere il movente della raccomandazione di Silvio Berlusconi.

In particolare il velo era sottilissimo e anzi si era già strappato per Evelina Manna. Dei reali rapporti tra questa ragazza e Berlusconi, in fondo i pm romani erano stati costretti ad occuparsi per la vicenda Fuda. Cosa ostava a depositare le sue telefonate per dimostrare il vero movente della corruzione di Berlusconi verso Saccà? Per garantire la distruzione delle telefonate, insomma, non bastava chiedere al Gip il rinvio a giudizio per Saccà-Berlusocni e contestualmente la cancellazione del temibilissimo fascicolo delle ragazze. Solo una richiesta di archiviazione per il fascicolo principale avrebbe permesso di mandare al macero tutto. Ed è esattamente quello che è accaduto. La Procura di Roma ha chiesto di distruggere tutto. Non solo le telefonate delle ragazze.

Ma proprio tutte, anche quelle di Saccà con gli altri politici o con i membri del cda della Rai. Anche quelle nelle quali si parla dei contratti da sbloccare per Ida di Benedetto, compagna del membro del cda Rai Giuliano Urbani. Anche quelle nelle quali Saccà si impegna per aiutare la società di produzione del la moglie del capogruppo della Pdl Italo Bocchino. Anche quelle nelle quali Saccà discute con il membro dell'Autorità Garante delle Comunicazioni Giancarlo Innocenzi delle mosse da fare per convincere il senatore del centrosinistra Willer Bordon a lasciare la sua maggioranza.

Tutte queste telefonate, che L'espresso aveva segnalato nei suoi articoli, e che avrebbero meritato un attento esame, finiranno al macero. Tutte irrilevanti. L'ennesima dimostrazione di cosa significherà l'applicazione del bavaglio del disegno di legge Alfano (che vieta la pubblicazione degli atti ritenuti irrilevanti dalla Procura) quando si ha a che fare con pm, come quelli romani, così attenti a non pestare i piedi dei potenti.

Tutte le vicende scandalose relative alla Rai e all'Autorità Garante delle Comunicazioni agli intrecci perversi tra le attività politiche e aziendali di Saccà e di Innocenzi, raccontate da L'espresso, non sarebbero state mai pubblicate. Gli italiani non ne saprebbero nulla. Per ottenere questo mostro giuridico: l'azzeramento dell'indagine napoletana, la distruzione di tutte le intercettazioni, i pm Colaiocco e Racanelli hanno dovuto sostenere oltre alla mancanza della qualifica di incaricato di pubblico servizio per Saccà (nonostante la Cassazione dicesse il contrario), oltre alla mancanza del ''do ut des'' (nonostante la professione di ''contraccambio'' registrata sul telefono di Berlusconi) anche la mancanza di un atto contrario ai doveri di ufficio. In questo la Procura scavalca a destra anche la Rai, che pure era stata criticata per il suo lassismo.
Per l'azienda pubblica Saccà aveva violato i suoi doveri e il codice etico. Per i pm nulla da obiettare.

FUTURO RACCOMANDATO
Secondo i magistrati capitolini l'attività di selezione delle attrici delle fiction non è ''normativizzata''. La discrezionalità in questo campo sembra non trovare alcun limite. «L'assenza di una qualsiasi disciplina relativa all'attività di scelta delle attrici da sottoporre a provino nella produzione di una fiction unitamente all'esito negativo delle segnalazioni rendono incerta la natura dell'atto posto in essere dal Saccà». Pur di salvare Saccà e Berlusconi i pm Colaiocco e Racanelli arrivano a sostenere che le segnalazioni hanno avuto esito negativo, dimenticando il caso della fiction "Incantesimo".

Dove la Procura di Napoli aveva provato senza ombra di dubbio che un'attrice raccomandata da Berlusconi aveva preso la parte della povera Sara Zanier, una ragazza considerata più brava e bella da tutti i dirigenti, i produttori e i consulenti. Finché non era arrivata la telefonata da Arcore. Per la Procura di Roma, non c'è nulla di male. La scelta si fa in ''assenza di disciplina''. Se in futuro un alto dirigente volesse selezionare le attrici con in mano la lista delle raccomandate dei politici, sembra di capire che i pm romani non ci troverebbero nulla di male. Questo provvedimento spalanca davanti ai dirigenti della Rai e delle altre aziende privatizzzate una prateria di abusi.

Il Giudice per le Indagini Preliminari deve ancora pronunciarsi e potrebbe cancellare l'atto di Colaiocco e Racanelli. Le intercettazioni delle ragazze non possono ancora essere distrutte. Poco male. Il disegno di legge Alfano continua la sua strada. Deborah Bergamini, una parlamentare del Pdl molto vicina a Berlusconi, ha presentato un emendamento che prevede la galera per chiunque pubblichi le telefonate irrilevanti (secondo la Procura, non secondo il giudizio dei giornalisti e dell'opinione pubblica). Proprio come quelle che non fanno dormire Berlusconi.

(2 marzo 2009) " xxx

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Le dieci emergenze ignorate - Non esistiamo solo noi



Ven. 13.03.2009 - Dal sito di "la Repubblica.it", 11.03.2009.

" ROMA - Ecco le 10 situazioni più gravi ignorate dalla stampa occidentale secondo Medici senza frontiere. xxx

SOMALIA
Nel 2008 la Somalia ha subito una delle più gravi ondate di violenza degli ultimi dieci anni che ha ridotto allo stremo le popolazioni delle aree centrali e meridionali del paese. Si stima che in Somalia una donna su dieci perda la vita durante il parto e oltre un bambino su cinque muoia prima di aver compiuto cinque anni. La malnutrizione infantile è aggravata dall'impennata dei prezzi dei beni alimentari e dalla prolungata siccità che ha colpito il paese. Il sistema sanitario è al collasso. Secondo le stime delle Nazioni Unite, gli scontri tra ribelli e forze governative, iniziati nel dicembre 2006, avrebbero provocato la fuga di almeno un milione di persone. I somali rischiano la vita per lasciare il paese, dirigendosi perlopiù verso sud per rifugiarsi in Kenya. Secondo l'Alto Commissariato per i Rifugiati dell'Onu, oggi in Kenya vi sono 200mila rifugiati, suddivisi in tre campi; da poco sono poi arrivate altre 35mila persone. Chi non riesce ad arrivare in Kenya si dirige verso nord, dove molti rischiano la vita a bordo di barche di contrabbandieri che attraversano il golfo di Aden per raggiungere lo Yemen. Secondo i dati Onu, oltre 43.500 persone, perlopiù somali ma anche etiopi, in fuga dalla fame e dalle persecuzioni, hanno tentato la traversata nel 2008.

BIRMANIA
Il 2 maggio 2008 il ciclone Nargis ha riportato il Myanmar Birmania al centro dell'attenzione internazionale, devastando il delta dell'Irrawaddy e causando circa 130mila vittime, tra morti e dispersi. Il ciclone è stato l'ennesimo colpo inferto a una popolazione letteralmente dimenticata dal resto del mondo, oppressa da un regime militare dal 1962 e stravolta da un conflitto a bassa intensità in corso in alcune aree del paese. Intanto i bisogni sanitari della popolazione restano senza risposta, aggravati dall'assenza di investimenti da parte del governo e della comunità internazionale. L'entità degli aiuti umanitari internazionali è stata di circa 3 dollari pro capite, il tasso più basso a livello mondiale. La situazione sanitaria resta drammatica. In netto contrasto con gli sforzi fatti per le vittime del ciclone Nargis, il governo del Myanmar e la comunità internazionale hanno del tutto ignorato il problema dell'HIV/AIDS, una malattia che solo nel 2007 ha causato 25mila vittime. La malaria resta la principale causa di morte; nel paese i decessi causati dalla malattia sono pari a oltre la metà di quelli registrati in tutto il Sudest asiatico. Ogni anno vengono inoltre diagnosticati oltre 80mila nuovi casi di tubercolosi, uno dei tassi più elevati a livello mondiale. Sono in aumento i casi di TBC multiresistente ai farmaci.

ZIMBABWE
I primi mesi del 2008 hanno segnato un periodo di ulteriore tracollo economico e di violenza politica in tutto lo Zimbabwe. La situazione del paese, in crisi da anni, si è deteriorata raggiungendo livelli allarmanti: inflazione a quota 231 milioni%, carenza di beni essenziali, repressione dell'opposizione politica e ulteriori restrizioni per le organizzazioni umanitarie alla vigilia delle contestate elezioni di giugno. La crisi ha colpito soprattutto i quasi due milioni di pazienti affetti da HIV/AIDS. Secondo le Nazioni Unite, l'aspettativa di vita nello Zimbabwe è precipitata a 34 anni a causa della pandemia di HIV/AIDS. In seguito alla crisi, molte persone in terapia sono state costrette a saltare i pasti, non sono state più in grado di sostenere le spese di trasporto per arrivare alle cliniche o semplicemente avevano troppa paura di lasciare la propria casa. Nello Zimbabwe, Msf cura 40mila persone con HIV/AIDS, metà delle quali con la terapia antiretrovirale.

CONGO (RDC)
Dal settembre del 2007, la ripresa dei combattimenti nel Nord Kivu, nella zona orientale della Repubblica Democratica del Congo (RDC), ha causato un massiccio sfollamento della popolazione. Il mancato rispetto del cessate il fuoco, siglato nel gennaio 2008, ha portato alla ripresa dei combattimenti su vasta scala tra i vari gruppi armati e l'esercito congolese (FARDC), malgrado la presenza della MONUC, la più vasta forza di pace Onu del mondo. Nella regione, centinaia di migliaia di persone sono fuggite in tutte le direzioni
alla disperata ricerca di salvezza. Ai profughi manca acqua, cibo e riparo; l'accesso all'assistenza sanitaria è quasi inesistente. Nonostante il mandato dell'Onu, la MONUC non è stata in grado di proteggere la popolazione civile dalla violenza e dalla fuga coatta. A novembre, quando le forze ribelli hanno assunto il controllo di Rutshuru, dove MSF gestisce un reparto di chirurgia, la MONUC ha condotto nella città un convoglio armato per prestare soccorso umanitario, una mossa che minaccia di rendere ancora più confuso il confine tra azione militare e azione umanitaria nella regione. Le drammatiche condizioni di vita rendono i profughi estremamente vulnerabili a malattie
facilmente curabili come il morbillo, la malnutrizione, le affezioni delle vie respiratorie, la diarrea e le complicazioni ostetriche per le donne in gravidanza. Inoltre vengono riportati casi di colera in numerose aree tra le quali anche zone in cui la dissenteria non
rappresenta solitamente una grave minaccia per la salute. Tra gli sfollati, inoltre, si verificano frequenti epidemie di colera, favorite dalle condizioni igieniche disastrose, dalla mancanza di acqua potabile e dal continuo spostamento della popolazione e dall'affollamento dei campi profughi. Msf gestisce progetti in tutta la regione del Kivu, fornendo assistenza sanitaria di base, cure mediche di emergenza, acqua, servizi igienici, tende e coperte.

BAMBINI MALNUTRITI
Le sommosse per il cibo che si sono verificate all'inizio del 2008 in varie parti del mondo - ad Haiti in Bangladesh o in Costa d'Avorio - hanno riportato all'attenzione del grande pubblico l'impatto dell'aumento dei prezzi alimentari. Meno visibile, sebbene più letale e pervasivo, è stato invece l'aumento della malnutrizione infantile, che miete vittime in Sierra Leone, Liberia, nel Corno d'Africa, in
Bangladesh. Mentre combattere la fame dipende dall'accesso al cibo in quantità sufficiente, vincere la malnutrizione significa anche garantire alimenti adeguati sul piano nutrizionale. Per i bambini malnutriti, alimenti ricchi di nutrienti, vitamine e minerali sono essenziali per la sopravvivenza e lo sviluppo. Le cifre sono sconvolgenti. Le stime dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) parlano di 178 milioni di bambini affetti da malnutrizione in tutto il mondo. In totale la malnutrizione causa dai 3.5 ai 5 milioni di decessi tra i bambini al di sotto dei cinque anni. Secondo l'UNICEF, la situazione sta di fatto peggiorando in 16 paesi
particolarmente colpiti dalla malnutrizione. Nei cosiddetti "punti caldi" della malnutrizione, Corno d'Africa, Sahel e Asia meridionale, molte famiglie non possono permettersi alimenti nutrienti, in particolare alimenti di origine animale come il latte, la carne e le
uova, necessari ai bambini per crescere sani. Al contrario, questi bambini lottano per la sopravvivenza, lontani dai riflettori puntati su emergenze umanitarie più rilevanti, cibandosi di pappe di cereali a base di mais o di riso, che equivalgono a pane e acqua. Oggi 20 milioni di bambini sono affetti dalla forma più grave
di malnutrizione acuta e ogni anno circa 5 milioni di bambini al di sotto dei cinque anni muoiono per le complicazioni legate alla malnutrizione. Eppure poco più del 7% di questi bambini gravemente malnutriti riceve il trattamento a base di alimenti terapeutici raccomandato dall'ONU. Negli ultimi anni, i progressi fatti nelle terapie nutrizionali per le forme più gravi di malnutrizione hanno consentito a MSF e ad altre agenzie umanitarie di dimostrare con successo che i bambini affetti da malnutrizione grave possono guarire
rapidamente grazie all'assunzione di un breve ciclo di alimenti terapeutici pronti all'uso, somministrabili anche a casa. Negli ultimi due anni Medici Senza Frontiere ha curato oltre 300.000 bambini malnutriti in 22 paesi.

REGIONE SOMALA DELL'ETIOPIA
Quest'anno le continue violenze e le difficili condizioni climatiche hanno reso molto difficili le condizioni di vita della popolazione nella regione somala dell'Etiopia. Intrappolata negli scontri tra gruppi ribelli e forze governative, la popolazione, prevalentemente
nomade, è sempre esclusa dai servizi essenziali e dagli aiuti umanitari. A causa dei pericoli e delle restrizioni all'importazione di beni nella regione, nei mercati locali è drasticamente diminuita la disponibilità di cibo e di altri generi essenziali e l'impennata dei prezzi ha reso gli alimenti base quasi del tutto inaccessibili. Le severe restrizioni agli spostamenti in alcune zone hanno inoltre gravemente aumentato la vulnerabilità della popolazione nomade. I raccolti, le scorte alimentari, i terreni da pascolo e il bestiame sono andati distrutti a causa della siccità e del conflitto. Si stima che in almeno una zona della regione somala tre quarti della popolazione sia completamente priva di assistenza sanitaria. Tuttavia, da maggio a settembre, MSF ha curato circa 50mila persone, di cui 28mila affette da malnutrizione acuta in diverse località con una distribuzione alimentare mirata a 12.500 persone a rischio di malnutrizione.

PAKISTAN NORD-OCCIDENTALE
Il 2008 ha visto l'intensificarsi degli scontri tra forze governative e miliziani ribelli nella provincia della frontiera nord-occidentale e nelle aree tribali di amministrazione federale del Pakistan. Anche le incursioni aeree statunitensi hanno contribuito a peggiorare la situazione della sicurezza nell'area. Nel mese di agosto, migliaia di pachistani sono sfollati all'interno del paese o si sono rifugiati nel vicino Afghanistan. Contemporaneamente, l'esercito pachistano ha iniziato a espellere i rifugiati afgani accusati di collegamenti con i miliziani, in particolare nel distretto di Bajaur. Per tutto l'anno centinaia di persone del distretto di Bajaur, delle regioni di Swat e
Mohmand, sono state uccise o ferite nel corso di attentati suicidi, attacchi aerei e sparatorie mentre migliaia di persone sono state ripetutamente allontanate dalle loro case. Nel distretto di Kurram, è sempre più difficile fornire assistenza a causa delle continue violenze e dell'insicurezza creata da gruppi
armati esterni che operano nell'area. Le principali attività di Msf sono state le cure materno-infantili, tra cui chirurgia ostetrica di emergenza e servizi neonatali. Il clima di insicurezza è tale che solo i pazienti più gravi intraprendono il viaggio verso le strutture mediche. Le ambulanze di Msf hanno subito vari attacchi e le équipe hanno dovuto spesso mettersi in salvo dai combattimenti. Oltre al conflitto armato, il 29 ottobre la regione montuosa del Balochistan nord-occidentale è stata colpita da un terremoto di magnitudo 6.4. La maggior parte delle case fatte di mattoni di fango sono andate distrutte e la gente è stata costretta a dormire all'addiaccio a causa dei danneggiamenti e delle scosse di assestamento. Le cifre ufficiali parlano di circa 300 vittime, 35mila feriti e 40mila senzatetto.

SUDAN
Nel 2008, due grandi emergenze umanitarie hanno continuato a colpire il Sudan: la crisi nel Darfur e le conseguenze di decenni di guerra civile nel sud del paese. Il Darfur è stato teatro della più vasta operazione di aiuti umanitari a livello mondiale, con oltre 80 organizzazioni e 15mila operatori umanitari, di cui 2mila di Msf, che hanno fornito assistenza in una regione in cui un terzo della popolazione è sfollata in seguito al conflitto. Tuttavia, nonostante gli sforzi umanitari, a cinque anni dall'inizio della crisi del Darfur, centinaia di migliaia di persone sono ancora tagliate fuori dagli aiuti. Altre migliaia di persone rischiano di perdere l'assistenza a causa di una serie di fattori: instabilità delle linee del fronte e delle alleanze tra fazioni armate, attacchi mirati agli operatori umanitari e crescenti restrizioni da parte del governo
all'erogazione di aiuti umanitari. Quest'anno, secondo i dati ONU, undici operatori umanitari sono stati uccisi e 189 sono stati rapiti in Darfur. A febbraio, una violenta incursione nell'area del corridoio settentrionale nel Darfur occidentale sembrava aver riportato il paese ai primi giorni del conflitto. I villaggi sono stati evacuati e dati alle fiamme; circa 50mila persone hanno dovuto
fuggire. Molte persone si sono rifugiate nei grandi campi sfollati del Darfur, ma la sicurezza è ancora molto scarsa. Gli scontri tra ribelli e forze governative, protrattisi per tutto l'anno, hanno causato lo sfollamento di migliaia di persone che sono rimaste prive di assistenza sanitaria. Nel Sudan meridionale, l'Onu stima che 1.2 milioni di persone abbiano fatto ritorno a casa dopo 20 anni di guerra civile, ritrovando le loro regioni prive di infrastrutture, servizi e strutture sanitarie. Malgrado l'accordo di pace, le tensioni nella regione sono ancora fortissime. Nel febbraio 2008, in seguito a un violento attacco vicino alla città di Abyei, migliaia di persone si sono riversate nei campi nel nord dello stato di Bahr-el- Ghazal e circa 10mila persone si sono date alla macchia. Nel mese di maggio, i combattimenti hanno distrutto Abyei, costringendo altre 60mila persone a sfollare. Tubercolosi e kala azar (una parassitosi cutanea) sono particolarmente diffuse nella zona; molto frequenti
massicce di epidemie di meningite, morbillo, colera e malaria. In una situazione come questa, gli aiuti umanitari sono nettamente carenti

IRAQ
Oggi una delle più grandi sfide che l'azione umanitaria indipendente deve affrontare è quella di raggiungere la popolazione civile coinvolta nelle guerre e nei conflitti armati. Un esempio eclatante di come ciò venga disatteso è l'Iraq, dove dal 2003, anno del'inizio
della guerra voluta dagli Stati Uniti, Msf cerca di guadagnare terreno. Vari attori politici e militari hanno cercato di usare ed abusare dell'azione umanitaria a fini politici, rendendo così le organizzazioni umanitarie oggetto di violenti attacchi e indebolendo la loro capacità di fronteggiare i gravi bisogni della popolazione civile. La guerra ha provocato lo sfollamento di quattro milioni di persone; secondo l'Alto Commissariato per i Rifugiati dell'Onu e il Centro di monitoraggio sullo sfollamento interno del Consiglio
norvegese per i rifugiati, due milioni sono bloccate nel paese. Negli ultimi 18 mesi, la situazione della sicurezza in Iraq è leggermente migliorata. Questa situazione è il risultato di anni di abbandono dei servizi sanitari, in particolare delle cure di base, ed è legata anche all'assenza di operatori sanitari che hanno lasciato l'Iraq per il timore di uccisioni o rapimenti.

LA CO-INFEZIONE HIV-TBC
Ogni anno la tubercolosi (TBC) uccide circa 1.7 milioni di persone e ne colpisce 9 milioni che sviluppano la malattia attiva. La TBC è in aumento nei paesi con alti tassi di HIV, in particolare nell'Africa meridionale, che presenta la più alta incidenza del virus. La tubercolosi è una delle principali cause di morte per le persone
affette da HIV/AIDS e negli ultimi 15 anni si sono triplicati i nuovi casi di TBC nei paesi ad alta incidenza di HIV. Le persone con HIV/AIDS hanno 50 probabilità in più di sviluppare la TBC attiva rispetto agli individui HIV-negativi e circa un terzo dei 33 milioni di persone con HIV/AIDS nel mondo è affetto da TBC in forma latente. Tuttavia nel 2006 meno dell'1% delle persone con HIV/AIDS è stato sottoposto a uno screening per la TBC. MSF fa appello affinché si incrementino massicciamente la ricerca e lo sviluppo nel campo dei farmaci, degli strumenti diagnostici e dei vaccini per la TBC. Ogni anno dovrebbero essere investiti circa 2 miliardi di dollari nello sviluppo di nuovi strumenti per la TBC ma nel 2006, secondo il Treatment Action Group, ne sono stati investiti solo 429 milioni.

(11 marzo 2009) " xxx

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