la libertà non ha appartenenza, è conoscenza, è rispetto per gli altri e per sé

"Chi riceve di più, riceve per conto di altri; non è né più grande, né migliore di un altro: ha solo maggiori responsabilità. Deve servire di più. Vivere per servire"
(Hélder Câmara - Arcivescovo della Chiesa cattolica)

mercoledì 11 aprile 2012

Art.18 legge n.300/1970, c.d. Statuto dei Lavoratori - Conquista di civiltà


Mer. 11.04.2012 - L'unica cosa che si doveva dire era: 'L'ART.18 NON SI TOCCA", non ci si doveva neanche sedere a trattare sull'argomento. La norma era chiara, se la vuoi la lasci.


---Come sempre Bersani, e anche la Camusso hanno abboccato, il solo parlarne voleva inevitabilmente dire "ci mettiamo le mani", metterci le mani voleva dire, come è stato, rinunciamo alla tutela della norma. Se Bersani e la Camusso avessero semplicemente detto, prima di iniziare a parlare di riforma del mercato del lavoro (e già il termine "mercato" applicata al lavoro la dice lunga, se c'è un mercato i lavoratori sono merce), “l’art. 18 non si tocca”, il governo non avrebbe osato procedere (come nessun altro governo aveva infatti osato prima). ?Vi ricordate il rapido dietrofront della Fornero quando aveva accennato, pochi mesi fa, al “totem” dell’art.18?


---?Ma il PD voleva realmente non toccare l’art.18?


---La Camusso e  Bersani hanno tentato una debole resistenza (debole nella sostanza, roboante nella forma), ma hanno precipitosamente accettato lo “specchietto per le allodole” che è stato loro successivamente proposto. Già gli era sembrato troppo l’iniziale “no”. La Marcegaglia ha, ovviamente, recitato la parte, strepitando su presunti arretramenti del governo circa la possibilità di licenziare. Poi tutti zitti, la recita è finita, i Lavoratori sono stati ricondotti a più miti consigli.


---In una Italia dove c'è: CRIMINALITÀ ORGANIZZATA dilagante, PIZZO, CORRUZIONE POLITICA e PRIVATA, BUROCRAZIA cieca ed elefantiaca, mancanza di INFRASTRUTTURE, SISTEMA SCOLASTICO allo sfascio, elevatissima TASSAZIONE, LAVORO NERO, ?cos'è che ha tolto il sonno ai nostri governanti, presunti "tecnici"? L'ART.18.


---REFERENDUM - Dovremmo pensare ad un referendum abrogativo della riforma dell'art.18, spiegando bene ai lavoratori, come fa Di Pietro a questo link (06.04.2012), e Tinti qui sotto, a seguire (dal sito de "il Fatto Quotidiano", 11.04.2012), che cosa questa riforma significhi realmente.

Non avrei mai pensato di rivolgere al presidente Monti e al ministro Fornero la stessa domanda (retorica) tante volte fatta a B & C: ma ci siete o ci fate? E invece…
L’art. 14 comma 7 del ddl sulla riforma del lavoro (Tutele del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo) dice: “il giudice che accerta la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (sarebbe il licenziamento per motivi economici) applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del medesimo articolo” (il reintegro). E, poco più avanti: “nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma”. Che consiste nel dichiarare “risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condannare il datore di lavoro al pagamento di prensiva” (l’indennizzo).

Tutto ruota intorno a due paroline: “manifesta insussistenza”. Cosa vogliono dire? In linguaggio comune è semplice: il fatto posto alla base del licenziamento non esiste; perciò il lavoratore va reintegrato nel posto di lavoro, poche storie. Ma, per un giurista, l’insussistenza senza aggettivi è cosa diversa dall’insussistenza “manifesta”. Il giurista si chiede: ma perché questi hanno sentito il bisogno di scrivere che l’insussistenza deve essere “manifesta”? Un fatto o sussiste o non sussiste; quanto sia complicato accertare che esista non incide sulla sua esistenza, solo sulla difficoltà della prova. Per capirci meglio, un assassino va condannato sia che lo si becchi con il coltello sanguinante in mano, sia che la sua responsabilità emerga dopo un complicato lavoro di indagine (movente, alibi, testimonianze etc). Dunque, pensa il giurista, questi hanno scritto “manifesta insussistenza” proprio per differenziare questi casi da quelli in cui c’è l’insussistenza semplice; e per differenziare il trattamento conseguente, reintegro nel primo caso, solo indennizzo nel secondo.

Come tecnica legislativa non è una novità. Quando, in un processo, si solleva un’eccezione di illegittimità costituzionale, il giudice la accoglie solo quando la questione non è “manifestamente infondata”. Se è sicuro che la legge è conforme alla Costituzione, respinge l’eccezione. Insomma, solo quando il giudice ha qualche dubbio sulla costituzionalità della legge (o, naturalmente, quando è sicuro che sia incostituzionale), chiede alla Corte costituzionale di valutare. Ne deriva che la Corte non riceve tutte le questioni di illegittimità costituzionale ma solo quelle che i giudici ritengono “non manifestamente” infondate. Può darsi che tra le altre, quelle che il giudice ha respinto (sbagliando), ce ne fossero di fondate; ma la loro fondatezza non era “manifesta”; e quindi…

Tornando all’art. 18, siccome i criteri di interpretazione giuridica delle leggi questi sono (art. 12 del codice civile), ne deriva che il giudice potrà reintegrare il licenziato solo quando, da subito, senza indagini, senza prove, “manifestamente” appunto, è sicuro che il motivo economico non sussiste. Se invece dubita, se per decidere deve acquisire prove, allora niente reintegro. E cosa al suo posto? Ma è chiaro, l’indennizzo.
E infatti Monti-Fornero lo dicono espressamente: “nelle altre ipotesi”, cioè quando l’insussistenza del motivo economico va accertata con una normale istruttoria dibattimentale (prove, testimonianze, perizie), quando dunque non è “manifesta”, di reintegro non se ne parla. Magari alla fine salterà fuori che il motivo economico non c’è; ma, siccome è stato necessario un vero e proprio processo per rendersene conto, niente reintegro, solo un po ’ di soldi.

Da qui derivano tre conseguenze micidiali.

La prima: il reintegro per motivi economici non ci sarà mai. Davvero si può pensare che un’azienda licenzi con motivazioni che da subito, senza alcun dubbio, “manifestamente”, si capisce che sono una palla? Se anche la motivazione economica è infondata, sarà certamente motivata bene; e quindi sarà necessario un normale processo, come si fa sempre. Solo che, a questo punto, l’insussistenza del motivo economico, anche se accertata, non è “manifesta”; e il lavoratore non potrà essere reintegrato.
La seconda: i giudici saranno in un mare di guano. Perché, in alcuni casi, l’insussistenza del motivo economico ci sarà; ma, per essere sicuri, un po’ di istruttoria va fatta. Un giudice non può dire: “È così’”. Deve motivare perché è così; e per questo è necessaria l’istruttoria. Ma, se la fa, addio reintegro. Mica male come dilemma.
La terza: a seconda dell’interpretazione che il giudice darà del concetto “manifesta insussistenza” gli diranno che è uno sporco comunista o uno sporco capitalista. Della serie: “Se la mente del giudice funziona, la legge è sempre buona” (Snoopy sul tetto della sua cuccia). “Certo che con questi giudici…; anche le leggi migliori, che il sindacato si è ammazzato per ottenerle (o che il governo si è dannato per scriverle), non funzioneranno mai. La responsabilità per gli errori dei magistrati, ecco quello che ci vuole”.

Ma, a questo punto: davvero Camusso & C, Bersani & C, a tutto questo non ci hanno pensato? O si sono accontentati di una (finta) dimostrazione di forza, del tipo: “Abbiamo costretto il governo etc etc; guardate come siamo bravi”?

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