la libertà non ha appartenenza, è conoscenza, è rispetto per gli altri e per sé

"Chi riceve di più, riceve per conto di altri; non è né più grande, né migliore di un altro: ha solo maggiori responsabilità. Deve servire di più. Vivere per servire"
(Hélder Câmara - Arcivescovo della Chiesa cattolica)

sabato 14 agosto 2010

Marco Travaglio, l'obiettività dei fatti



Sab. 14.08.2010 - Riporto a seguire un pezzo di Giulio Neri, apparso sul sito della Fondazione di Gianfranco Fini "Fare futuro" (13.08.2010), dove l'autore, con riferimento ad un articolo di Marco Travaglio (da me riportato nel post "il -cainano- in azione"), ne elogia l'obiettività e la lucidità.

" Non è una colpa riconoscere l'obiettività dove c'è, ma dovrebbe far riflettere
Quel paradosso
di condividere Travaglio
di Giulio Neri

Paradosso, dal greco parà (contro) e doxa (opinione), indica usualmente una proposizione formulata in contraddizione con l’esperienza comune o con i propri principi elementari della logica ma che, sottoposta a rigorosa critica, si dimostra valida. Ecco è un paradosso trovarsi a leggere un pezzo di Marco Travaglio, per l’esattezza quello pubblicato ieri sul Fatto Quotidiano, e pensare che riporta esattamente ciò che andava scritto e lo fa con obiettività e lucidità invidiabili e purtroppo anche introvabili su molta altra stampa. xxx

xxx È infatti questo il pensiero che nasce spontaneamente leggendo le parole del giornalista del Fatto che raccontano di notizie che «opportunamente pompate, manipolate e decontestualizzate diventano enormi». E di un «copione» che è «lo stesso collaudato negli anni contro chiunque abbia osato mettersi di traverso sulla strada di B.: Di Pietro e gli altri pm del pool di Milano, Ariosto, Bossi, Veronica, D’Addario, Persino Casini e Boffo». «Il dossier Montecarlo usato contro Fini – scrive ancora Marco Travaglio con amara lucidità – ricorda il dossier Gorrini usato contro Di Pietro per farlo dimettere dal pool nel ’94 e trascinarlo sotto processo a Brescia nel ’95. I fatti sono veri: Di Pietro accetta un prestito da un amico, poi lo restituisce; Fini fa vendere un alloggetto ereditato da An che finisce a due società offshore, una delle quali l’affitta al “cognato” di Fini».


Poi Travaglio continua a dire di come sia pure giusto che certe «leggerezze» siano fatte conoscere alla gente, purché, però, si faccia in modo che i fatti siano sempre «misurati col metro della loro gravità intrinseca (scarsa) e del contesto in cui avvengono (una classe politica inquinata da mafie, corruzioni e malversazioni di ogni genere)». Perché «una pulce – scrive Travaglio ricorrendo a un’efficace metafora animale – dovrebbe restare una pulce e un elefante un elefante».

Ma ciò non accade, e «le pulci diventano elefanti e gli elefanti pulci». Il che è per Travaglio «la miglior prova su strada del conflitto d’interessi e del perché nessuno ha mai osato né mai oserà estirparlo». Tant’è che, articola con una logicità disarmante, «chi resta sotto l’ombrello protettivo di B. può fare qualunque cosa, anche la più terribile, e godrà sempre di totale ed eterna protezione». «Capiterà – prosegue – che un raro giornale estraneo alla banda ne sveli le malefatte, ma esse resteranno confinate su quelle pagine e ben presto evaporeranno: nessuno le riprenderà per farne un caso. Se invece uno s’azzarda ad allontanarsi dall’ombrello, i cecchini sparano a vista. Se il tizio ha una pagliuzza nell’occhio, la trasformano in trave. Se non ha pagliuzze, gl’inventeranno una trave». Sarà pure un paradosso condividere una per una tutte le parole di Travaglio, ma se in lui si ritrova la voce più obiettiva non possiamo farcene noi una colpa. Piuttosto, sarebbe il caso di rifletterci su.

13 agosto 2010 " xxx

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